Stupro, la prova del Dna scagiona il centravanti della Voghe: «Sapevo che la verità sarebbe emersa»
VOGHERA. Lui lo sapeva già e per questo aveva chiesto con insistenza di fare quel test. Il risultato, per lui e i suoi familiari, è stato una liberazione. Il Dna ha scagionato Stanislav Bahirov, il calciatore 25enne della Vogherese arrestato alla fine di gennaio con l’accusa di avere violentato, la notte del 23 ottobre dello scorso anno, una giovane di 19 anni nel quartiere Niguarda di Milano, al parco di via Veglia, dopo averla indotta a bere.
Le tracce biologiche prelevate sulla vittima e confrontate con quelle del giovane sono inequivocabili: non è stato lui ad abusare della ragazza. Il centravanti di origine ucraine e cittadinanza romena, operaio incensurato, sposato e con due figli, è stato subito scarcerato da San Vittore, su richiesta della sua avvocata, Daniela Damiano, che lo aveva affiancato anche durante l’interrogatorio di garanzia.
Bahirov, la sua storia ha dell’incredibile.
«Lo so che la percentuale di chi viene arrestato per questi reati e poi si scopre innocente è molto bassa, ma io faccio parte di questa statistica. Non sono stato io, lo avevo subito detto quando mi hanno arrestato e ho continuato a ribadirlo».
La giovane che ha denunciato la violenza ha indicato lei. Come se lo spiega?
«Ci ho pensato per tutto questo tempo in carcere e l’unica spiegazione che mi sono dato è che il mio volto è stato l’ultimo che quella donna ha ricordato. Aveva di fianco una bottiglia, non era lucida. Piangeva, urlava, diceva di essere disperata e sola. Mi sono avvicinato a lei proprio per questo, volevo solo aiutarla. Ho notato che c’erano due ragazzi vicino a lei, ho pensato che fosse in pericolo. Le ho chiesto se voleva che chiamassi la polizia ma mi ha detto di no. Prima di andarmene ho insistito perché si allontanasse almeno da quella zona, che era molto buia. Poi mi sono allontanato e non so cosa sia successo dopo».
Il filmato della telecamera è un altro incastro assurdo del destino: quella della banca vicina al parco l’ha ripresa 15 secondi dopo il passaggio della vittima, e poi un mese dopo nella stessa zona.
«Peccato che io abiti lì, proprio sopra la banca, in viale Fulvio Testi. Le telecamere di quella zona troveranno parecchi miei passaggi lì. Eppure questo elemento sembrava un indizio gravissimo nei miei confronti».
Come ha vissuto il periodo in carcere da innocente?
«Ho tenuto duro, perché avevo la forza della verità dalla mia parte. Sapevo che sarebbe uscita. E poi tante persone mi sono state vicine, a cominciare da mia moglie che mai mi ha lasciato. Tanti altri, amici ed ex compagni di calcio, mi hanno creduto, perché mi conoscono, sanno che non avrei mai potuto fare una cosa del genere».
Cosa farà ora, dopo un’esperienza così pesante?
«Sono venuti a casa mia all’alba, mi hanno portato via davanti ai miei figli, rimasti traumatizzati da questa storia. Questo non si può cancellare, ma voglio ripartire. E continuerò ad essere me stesso, un ragazzo umile con il desiderio di dare una mano a chi ha bisogno. E poi voglio continuare a giocare a calcio, era il mio sogno da bambino». —