Prof con la maglietta pro Palestina, la famiglia della studentessa italo-israeliana: «La scuola intervenga»

Pavia, il caso in un istituto superiore cittadino. I genitori della ragazza: allontanatela da nostra figlia. L’avvocato: subito un incontro

PAVIA. La maglietta pro Palestina indossata da un’insegnante di Pavia diventa un caso. A sollevarlo la famiglia di una studentessa italo-israeliana, che si è sentita offesa dal messaggio e per questo si è rivolta a un avvocato con l’intenzione di tutelare la figlia: «A breve ci sarà un incontro con la presidenza della scuola: è stato comunicato alla madre della ragazza. La famiglia non pretende licenziamenti, ma che cessino le interazioni tra l’insegnante e la studentessa così da tutelarla». È quanto spiega Andrea Cascio, legale contattato dai genitori della 17enne al penultimo anno di un istituto superiore della città. «Non abbiamo intenzione di sconfinare in ambito giudiziario, propendiamo per una soluzione bonaria». Immediata la reazione dei sindacati, con Cgil Uil e Usb che a vario titolo difendono la docente. Opinione opposta arriva dalla Cisl.

«From the river to the sea»

Dalla scuola interessata e dall’ufficio scolastico regionale solo bocche cucite, ma si sa che la vicenda risale a lunedì 18 marzo. La docente (da quanto si apprende una professionista stimata, che non appartiene al gruppo insegnanti della classe) sarebbe entrata in aula per una comunicazione, indossando una maglietta con la scritta “from the river to the sea, Palestine will be free”, forse non sapendo che tra i banchi si trovava una studentessa con doppia cittadinanza italo-israeliana e con parenti in Israele, per questo più coinvolta di altri riguardo a ciò che sta accadendo in quell’area. «Quello è uno slogan violento – ha spiegato Cascio alle agenzie di stampa – che auspica la scomparsa di Israele. La ragazza è rimasta molto turbata». Poi aggiunge: «Un motto inopportuno e molto lontano dal confronto di opinioni basato sul rispetto, che dovrebbe tenersi in un contesto scolastico». E così la famiglia ha scritto alla scuola, all’ufficio scolastico e agli esponenti istituzionali della comunità ebraica. Poi la decisione di rivolgersi all’avvocato Cascio, peraltro tutore di Eitan Biran, unico sopravvissuto alla strage della funivia del Mottarone. «A breve si terrà un incontro tra la famiglia della studentessa e la dirigenza della scuola – aggiunge l’avvocato – verrà fissato nei prossimi giorni con l’obiettivo di giungere a una risoluzione bonaria della questione, senza bisogno di approdare in ambito giudiziario, se possibile. Vogliamo delle spiegazioni, e chiederemo che non ci siano più interazioni tra la persona oggetto del caso e la studentessa da tutelare, che è rimasta molto provata dalla vicenda».

La reazione dei sindacati

I sindacati hanno subito preso posizione: «Difendiamo la libertà di espressione della docente» afferma Luigi Verde, sindacalista della Uil scuola. «Non mi sento di condannare un’insegnante per aver scelto di indossare una maglietta che peraltro si trova in commercio con facilità. Forse la scelta è stata inopportuna, ma se accettiamo di scagliarci contro un’insegnante dobbiamo fare lo stesso con i messaggi politici sulle magliette di alcuni giovani: io le t shirt con il faccione di Che Guevara me le ricordo ancora». Critica la Cisl: «I docenti devono astenersi da manifestazioni di questo tipo – afferma Elena Maga – indossare magliette a sfondo politico è una cosa ben diversa dall’insegnare ai ragazzi come si ragiona con la propria testa». Francesco Lucente della Cgil scuola afferma: «Ritengo che rivolgersi a un legale sia stata una reazione esagerata, non si può condannare l’opinione di chi chiede la libertà di un popolo». Vito Cafaro del sindacato Usb afferma: «Nessun soggetto esterno alla scuola può chiedere provvedimenti contro il personale. Nel caso l'episodio venga ritenuto da approfondire, questo lo deciderà il dirigente scolastico o l’ufficio scolastico provinciale».

Nel corso della giornata di ieri, questo giornale ha provato più volte a mettersi in contatto con la dirigenza della scuola per acquisire e raccontare la loro versione dei fatti, senza però ottenere risposta.