Richard morto in bici, il pm chiede 4 anni per il camionista
VOGHERA. «Una tragedia che l’imputato, autista di professione e con esperienza, poteva e doveva evitare». E invece, secondo la pm Valeria Biscottini, l’uomo avrebbe «per grave colpa» commesso una serie di violazioni. La magistrata ha chiesto così 4 anni di reclusione, al termine della sua requisitoria, per Piero Suppa, 52enne di Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria, e dipendente di una ditta di Tortona: l’uomo, la mattina del 2 ottobre 2021, guidava l’autocisterna che travolse e uccise Richard Camellini, 11 anni, alunno della scuola media Pertini, mentre attraversava in bicicletta l’incrocio tra via Papa Giovanni XXIII e corso Rosselli.
Il processo è alle battute finali: la sentenza del giudice Vincenzo Giordano è prevista per il 14 maggio. In aula, lunedì pomeriggio, c’erano come sempre i genitori del bambino, Roy Camellini e Rosita Vignone.
La requisitoria
Per la pm, che ha chiesto la condanna, l’imputato è quindi responsabile del reato di omicidio colposo. Nella sua requisitoria ha passato in rassegna i risultati delle consulenze tecniche, a cominciare dalla simulazione dell’incidente costato la vita al bambino, che quella mattina andava al campo Coni insieme al fratello più grande. L’autista del camion, secondo l’accusa, non avrebbe mantenuto strettamente la destra, come prevede il codice della strada, lasciando così uno spazio «che ha consentito a un soggetto più debole di affiancarsi al camion». L’imputato, inoltre, avrebbe dovuto controllare attraverso gli specchietti, che consentivano una buona visuale, la presenza di eventuali veicoli.
Quando l’autista ha capito che qualcosa non andava, vedendo un passante «mettersi le mani nei capelli», ha frenato «ma in maniera troppo lieve», secondo la pm: «Se avesse usato una forza frenante maggiore la ruota posteriore del camion non avrebbe raggiunto il bambino». E poi la chiamata. «L’imputato era al telefono – ha sostenuto la pm –, e anche se probabilmente stava usando il sistema vivavoce non era concentrato». La magistrata ha infine citato alcuni selfie postati su un social network, in cui l’imputato si riprendeva mentre guidava con gli occhi chiusi o in condizioni meteorologiche difficili. «Immagini che l’imputato ha definito come goliardate, ma lascio al giudice la valutazione».
Le parti civili e la difesa
È poi toccato agli avvocati di parte civile. «L’imputato avrebbe potuto evitare la tragedia – è stato l’intervento di Simona Virgilio, avvocato della mamma del bambino –. Il consulente Sillo ci ha spiegato che l’evento si poteva evitare guardando gli specchietti e ponendosi sul margine destro della strada. L’imputato era inoltre al telefono e ha azionato la freccia solo quando è scattato il verde. Non ha mai chiesto scusa ai genitori e ha mostrato di guidare i mezzi pesanti riprendendosi al cellulare anche in condizioni meteo critiche, ha un precedente specifico e gli era stata ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza. È un dovere giuridico e morale fare giustizia, per Richard e i suoi familiari ma anche per tutta la comunità, perché fatti del genere non accadano più». Per l’avvocato Gianfranco Ercolani, legale del padre, della zia e della nonna del bambino, che ha chiesto un risarcimento di oltre 2 milioni di euro, «ci sono dati sicuri che escono da questo processo, e cioè che l’autocarro era fermo allo stop e c’erano tre ciclisti vicini: l’autista, per sua stessa ammissione, aveva il tempo di guardarsi attorno. Questo evento non può essere definito una fatalità».
La difesa
Gli avvocati difensori Angelo Cremonte e Claudia Capodieci, invece, hanno chiesto l’assoluzione: «Davanti alla morte di un bambino ciascuno di noi è travolto da sgomento. Ma qui dobbiamo accertare le responsabilità e valutare se nell’evento possa avere avuto un ruolo anche l’imprudenza della giovane vittima.