“La fossa dei lupi”, ovvero “I Promessi sposi” tre anni più tardi e la caccia al killer dell’Innominato
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foto da Quotidiani locali
Che fine hanno fatto Renzo, Lucia, don Abbondio e l’Innominato? “La fossa dei lupi” (Mondadori), il nuovo romanzo storico di Ben Pastor, in libreria da martedì 7 maggio, si colloca temporalmente tre anni dopo l’inizio delle vicende magistralmente narrate da Alessandro Manzoni (novembre 1628) . Ritroviamo tutti i suoi personaggi in salute e ben messi economicamente, con la coppia dei “Promessi sposi” regolarmente unita in matrimonio proprio dal pavido sacerdote, ora che la peste ha dissolto la cupa minaccia di don Rodrigo, e il buon Tramaglino diventato addirittura imprenditore, co-titolare di una filanda nel Bergamasco, mentre Milano e la Lombardia si riprendono faticosamente dalla tremenda pandemia che ha spopolato città e campagne. Ma a guastare il quadro apparentemente idilliaco arriva l’omicidio di Bernardino Visconti, l’Innominato di manzoniana memoria, un delitto di cui tutti sono sospettati e al centro dell’indagine affidata a Diego Antonio de Olivares, giovane ma già disincantato luogotenente di giustizia.
La scrittrice italo-americana (che da anni vive col marito a Rovescala, tra le colline dell’Oltrepo), in questo nuovo sfoggio, potente e ironico, della sua inesauribile verve narrativa, fa rivivere i personaggi manzoniani con una fedeltà che consente al lettore di riconoscerli all’istante, nel sottinteso di un doveroso e sentito omaggio a Don Lisander e al suo immortale capolavoro. De Olivares, il protagonista del libro, dovrà muoversi seguendo le tracce dell’assassino tra i bassi fetidi di una Milano ancora prostrata dal morbo, fino ai confini della Repubblica di Venezia, imbattendosi nei “bravi” restati senza impiego, nel caso criminale della Monaca di Monza, e in una signora elusiva e affascinante come Donna Polissena, in possesso di qualcosa che aiuterà il giovane investigatore a risolvere l’enigma. Non si tratta, dunque, di un sequel (anche solo immaginarlo sarebbe apparso irriverente e improponibile), ma di un racconto noir nel più classico stile dell’autrice, accurata fin nei minimi dettagli nelle sue ricostruzioni storiche (basti pensare alla “grida” di nomina di De Olivares).
Ben Pastor, qual è stata l’ispirazione del libro?
«I Promessi sposi” sono un’opera fondamentale, accompagnata dalla fama ingiusta di essere stata imposta a forza a infinite generazioni di studenti: “Per domani studiate da pagina x a pagina y..”. Ma a me è piaciuta tantissimo. Manzoni scrisse un romanzo storico che, necessariamente, era più ottocentesco che seicentesco, i cui personaggi erano connotati da comportamenti molto vittoriani. Lui, del resto, si rivolgeva al pubblico della sua epoca. Io ho cercato di rendere la storia più vivace, in una versione moderna che introduce altri generi, come il giallo e l’attrazione fisica, ignorata da Manzoni, che era cattolico osservante, per quanto non così ligio nella vita privata».
“La fossa dei lupi” ci propone un Don Rodrigo ormai trapassato ma di natali pavesi.
«Ho voluto immaginare un Don Rodrigo pavese per avere un personaggio legato a una città come Pavia che aveva già sofferto durante l’assedio dei lanzichenecchi».
Il povero Bernardino Visconti ci lascia le penne…
«Mica tanto povero, né buono. Era uno che cominciò con le malefatte appena 14enne e che rapì la madre, vedova, per evitare che si risposasse».
Oltre all’Innominato anche la monaca di Monza e lo “sciagurato Egidio” ritrovano la loro vera identità.
«Sì, ho voluto togliere lo schermo usato, prudentemente, da Manzoni».
De Olivares è un Martin Bora del Seicento? (Bora è l’investigatore tedesco negli anni della Seconda guerra mondiale protagonista di una delle saghe di Pastor).
«E’ molto più religioso di Bora e meno tormentato, ha studiato con i gesuiti ed è molto legato alla controriforma».
Un ritratto di quei tempi?
«Anche nel ’600, chi era povero non arrivava a fine mese, chi era ricco poteva permettersi viaggi lussuosi, come oggi alle Maldive. Ma la Lombardia, in fondo, era sempre capace di gestirsi anche sotto una dominazione severa, di trovare un modus vivendi. Gli spagnoli erano molto crudeli nelle colonie americane , assai meno neidomini europei, dove si spesso si sposavano con le famiglie locali. I governanti firmavano “grida” (i decreti legge dell’epoca) a raffica, ma ne scaturiva un caos tale che restavano quasi sempre inapplicate. E la gente si arrangiava. Certo le guerre, la peste fecero strage».
Un parallelismo tra la peste e il Covid?
«Entrambi i mondi, quello del Seicento e il nostro ne sono stati terrorizzati. Milano impiegò anni per uscirne. La peste ovviamente fece molte più vittime. Intere zone rimasero spopolate. La manodopera scarseggiava e per ovviarvi Milano si rivolse ai piacentini».
In dirittura d’arrivo il nuovo capitolo di Bora. Per il sollievo del fan, mi sembra di capire che non sarà l’ultimo.
«Si intitolerà “Lo specchio del pellegrino”, in uscita entro la primavera prossima. E in effetti la saga continuerà».