Professione profiler: l’intelligenza artificiale inquinerà le prove
foto da Quotidiani locali
Piccolo è bello, parola d’investigatore. La cosiddetta miniaturizzazione della tecnologia sembrerebbe segnare un punto a favore delle guardie, nella perenne sfida contro i ladri. Certo, questi ultimi, spesso, mettono la freccia: le holding criminali hanno il più delle volte maggiori possibilità economiche rispetto agli Stati che cercano di contrastarle. Ma la capacità degli investigatori di rendersi invisibili, di avere occhi e orecchie dappertutto, si sta sempre più affinando.
Gianni Spoletti, 63 anni, sarebbe un investigatore privato. Il condizionale perché in realtà è un criminologo e profiler. Ma, soprattutto, un consulente di parte. Per l’accusa o per la difesa: dipende. Vive in un paesino sul lago di Garda, Colà di Lazise, Verona.
Ha fatto il poliziotto (ma anche il granitico portiere di hockey su ghiaccio, con il Bolzano) dal 1980 al 1988, poi è andato in pensione con la minima e si è messo a studiare.
E’ così?
Sì, Ho preso la laurea in Criminologia e scienze investigative alla Popolare di Milano, poi mi sono messo a lavorare come consulente delle parti: indagini difensive oppure a sostegno delle procure.
Ma le procure hanno bisogno di consulenti esterni? Non hanno già i loro investigatori?
Parliamo di competenze tecniche, di dispositivi elettronici investigativi.
Le microspie insomma.
Non solo. Diciamo, tutto ciò che serve per vedere e ascoltare.
E lei cosa fa?
Assemblo componentistica proveniente soprattutto da Usa e Israele per fornire dispositivi che siano tailor made, mirati rispetto all’obiettivo specifico, e che spesso non si trovano sul mercato.
Ci fa un esempio, per capirci meglio?
Beh, un micro Gps nascosto su una moto, settato per durare solo tre giorni, nascosto dentro la carrozzeria.
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E li piazza lei?
No, certo che no. Io lo realizzo, le forze dell’ordine li usano.
Ma lei non avrà studiato componentistica all’università, immagino…
(ride) No, ho conoscenze in Canada e ho imparato lì.
Cosa è cambiato in questi anni?
La tecnologia ha fatto passi da gigante, adesso puoi captare qualsiasi cosa con uno scanner sistemato a cento metri di distanza, audio e video come fossi lì a due passi, anche isolando rumori di fondo, ad esempio dentro a un bar.
Tutto lecito, sempre?
Se raccogli elementi di prova illegalmente non puoi utilizzarli, dunque a che servirebbe?
A scoprire la verità, pur non potendola provare?
Improbabile.
Le microcamere inquadrano chi entra in una villa, le microspie registrano chi parla. Come si fa poi ad attribuire le voci? Specie se chi parla, lo fa in dialetto stretto…
Il riconoscimento vocale si fa quasi sempre per attribuzione, confrontando cioè la voce captata con la registrazione certa di una data persona.
Bella la tecnologia, ma se sbaglia? O meglio, che si fa adesso con l’intelligenza artificiale?
Ecco, questo onestamente sarà un grandissimo problema per noi tutti. C’è il rischio fondato che qualcuno fabbrichi prove, contro o a discapito. Potresti usare la mia voce, una volta campionata, per farmi dire qualsiasi cosa. La registri a mia insaputa e poi la usi per farmi dire tutt’altro. Nemmeno mia moglie se ne accorgerebbe.
D’accordo. E l’attività di profiling?
Applichi la psicologia criminale per tracciare il profilo dell’autore di un delitto efferato e ignoto.
Stando sulla scena?
Certo, se io sono consulente dei familiari della vittima, diciamo la parte offesa, ho diritto a partecipare a tutte le attività di polizia scientifica, a visionare le modalità di repertamento delle prove, a sollevare eventuali obiezioni...
Complicato?
Sulla scena del crimine, spesso gli elementi si mischiano. Evitare l’inquinamento o la contaminazione dei reperti è decisivo.
E’ cambiato tutto...
Sì. Oggi, molti autori di crimini efferati del passato non la farebbero franca.
Un luogo del delitto parla sempre, per voi?
Direi di sì. Anche quando non trovi nulla.
In che senso?
La stessa assenza di elementi può costituire fonte di prova. Dimostra in genere che quella non è la scena primaria, corpi o gli oggetti sono stati trasportati in un momento successivo al compimento del reato, che è avvenuto altrove.
Ci si abitua a tutto? Emotivamente, intendo.
Facile non è, alle volte. Ma, certo, riuscire a rimanere imperturbabile anche di fronte a scene destabilizzanti, è fondamentale. C’è poi da dire che l’emotività è una variabile che influenza anche il ricordo e può falsare la ricostruzione di ciò che si è svolto sulla scena del crimine.
A bruciapelo: Olindo e Rosa sono colpevoli?
Ho qualche dubbio.