7 maggio 2024: cinquant’anni fa la tragedia del pulmino di Conche in cui morirono dieci bambini
Cinquant’anni fa, proprio come oggi, era un martedì. Il pulmino della parrocchia di Conche, come tutti i giorni, nel pomeriggio stava riportando a casa alcuni bambini dell’asilo e della elementare.
Erano altri tempi, quando il barbiere del paese nella pausa pomeridiana di chiusura della bottega, si offriva come autista. Quello che nessuno ancora sapeva era che quella data avrebbe per sempre segnato la storia di una comunità.
Qual pulmino, un Fiat 850, percorrendo la strada bianca dell’argine sinistro che costeggia il canale Novissimo, sbandò, ufficialmente per un problema a una gomma.
Dieci bambini, dai 2 agli 8 anni, morirono tutti insieme, annegando nel canale Novissimo. Morì con loro anche l’accompagnatrice, suor Elvira Pettinato, alla quale qualche anno dopo fu attribuita una medaglia d’oro all’onor civile per il suo sacrificio nel cercare di salvare qualche vita nonostante non sapesse nuotare.
Vanes Bettini, il barbiere-autista, riuscì invece a salvarsi, ma il resto della sua vita non fu più lo stesso. Due pescatori, Luigi e Antonio Bartella, dalla loro barca videro il mezzo finire in canale e alla fine riuscirono a salvare due bambini: Marianna Pozzato ed Ettore Lazzaro, di 5 e 4 anni.
Il secondo oggi è il sindaco proprio di Codevigo. «Certo che ricordare questo particolare anniversario da sopravvissuto e da sindaco suscita sicuramente un certo effetto. Quando sono stato eletto qualcuno mi ha chiamato», confessa tra l’imbarazzo e la commozione, «per dirmi che il destino ha voluto chiudere un cerchio».
Una tragedia, questa, che segnò indelebilmente la storia di Conche, lasciando aperte ferite che il tempo ha solo parzialmente rimarginato. Il paese perse un’intera generazione e devastò molte famiglie. Seguirono giorni di lutto indescrivibile.
Frammenti persi ormai nel tempo ma testimoniati da foto in bianco e nero del tempo. Un paese intero pietrificato sugli argini ad assistere al recupero del pulmino. Le salme dei piccoli riunite nella chiesetta del cimitero, la processione delle bare verso la chiesa e il funerale collettivo.
Ettore Lazzaro non ha mai cambiato casa – che si trova a poche centinaia di metri dal punto dove il pulmino è uscito di strada – e davanti al capitello commemorativo ci passa necessariamente davanti ormai da una vita. «Per anni imboccando in auto l’argine», racconta, «istintivamente mi veniva di togliermi la cintura di sicurezza. Una sorta di riflesso incondizionato».
Lazzaro adesso ne parla con più sollievo ma non è stato così fino una quindicina di anni fa. «Ho sempre preferito cambiare discorso», spiega, «poi durante le commemorazioni don Massimo ha iniziato a invitarmi ad intervenire. Le prime volte declinavo, poi ho iniziato a farmi coraggio». Nel 1974 Lazzaro aveva appena 4 anni. I suoi ricordi sono sbiaditi, ma alcune immagini sono indelebilmente rimaste fissate nella sua mente. «In realtà ho solo un paio di flash di quel pomeriggio. Il primo mi vede insieme con Marianna in ginocchio sul sedile anteriore», dice guardando per l’ennesima volta il plico che conserva con foto e ritagli di giornale dell’epoca, «eravamo entrambi girati verso i sedili posteriori a guardare gli altri bambini che giocavano. Il secondo che galleggio sul canale e bevo acqua. Poi null’altro.
Mi ricordo poi il risveglio in ospedale a Piove di Sacco dove sono stato ricoverato per una decina di giorni. Tornato a casa ho iniziato ad avere tutte le notte degli incubi. In accordo con il medico. che consigliò ai miei genitori di farmi cambiare aria. e grazie alla disponibilità di una zia suora che si prese cura di me, trascorsi tutta l’estate in un asilo a Thiene».