Le storie dei migranti e delle portatrici carniche: i disegni dei detenuti nelle stanze del carcere di Tolmezzo

TOLMEZZO. Un migrante con la valigia di cartone sullo sfondo della stazione stile art deco nel corridoio di un luogo di detenzione, un chiosco di granite e cornetti al posto della guardiola, una fila silenziosa di portatrici carniche arrampicate sui sentieri montani. Poi, un gugjet simbolo della Carnia, e scarpets tinti di rosso.

Racconti scritti sui muri del carcere di massima sicurezza di Tolmezzo da un gruppo di detenuti che ha frequentato un corso di arti decorative tenuto da Roberta Masetti.

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Gemonese, sessantenne, con un passato da decoratrice. «Nel 2017 il Centro edile per la formazione e la sicurezza di Udine mi ha contattata per propormi di tenere dei corsi nelle strutture carcerarie della regione: un incarico che ho svolto a Udine, a Gorizia e, da ultima, nell’istituto carcerario di massima sicurezza di Tolmezzo».

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Un lavoro che si è protratto quotidianamente per quattro mesi fra lezioni, laboratori e lavoro sul campo: sei ore di impegno giornaliero con una dozzina di detenuti dai 72 ai 36 anni. «Ho esordito mettendo in chiaro che abbiamo scelto di stare su opposte rive del fiume – racconta –. Sono detenuti, ma io li vedo come “i miei ragazzi”; chiedo loro solo i nomi di battesimo, non voglio sapere il motivo della loro condanna pur essendo consapevole che i loro sono reati collegati alla mafia. Desidero ringraziarli per l’impegno che ci hanno messo, così come voglio ringraziare il personale della struttura che mi ha sempre supportata nell’impresa in un contesto non proprio semplice, fra controlli e restrizioni che sono necessari».

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Due i soggetti sui quali hanno voluto cimentarsi: uno dedicato agli emigranti italiani, l’altro alle portatrici carniche. «Il tema degli emigranti, molto sentito dai miei allievi, che sono quasi tutti del sud Italia – racconta Masetti – è stato risolto decorando le pareti di un corridoio interno con le strutture in ferro stile art decò della stazione di Taormina, una delle più antiche e meglio conservate d’Italia. Nella parete di fondo hanno indicato le destinazioni più note della migrazione italiana. Fra i personaggi rappresentati, il primo è un uomo giovane di fine Ottocento come testimoniano i suoi abiti e la valigia di cartone. Quelli raffigurati di schiena appartengono all’ultima ondata migratoria, quella degli anni Cinquanta e Sessanta come si vede dagli abiti. Appartengono a due allievi che hanno voluto disegnarsi così, senza volto. La stazione come punto di partenza verso un futuro ignoto, nella speranza che sia migliore, nostalgia della terra d’origine che si lascia, ma che non esclude un ritorno, un viaggio, comunque».

Il secondo grande tema sviluppato sul murale è quello dedicato alle portatrici carniche, in omaggio alla terra di Carnia. Un racconto che gli allievi hanno ascoltato, approfondito, prima di immergersi nella realizzazione del paesaggio montano, non trascurandone alcun particolare.

E, nel raccontare il coraggio di quelle donne del passato, gli autori di quelle composizioni hanno voluto anche proporre un messaggio di condanna alla violenza sulle donne: sui muri sono così apparsi nastri e scarpets rossi e hanno preso forma brevi componimenti poetici incentrati su una tematica attuale e difficile. Infine il “gugjet”, il cuore carnico che solitamente veniva regalato dagli uomini alle proprie fidanzate che lo appendevano alla cintura del grembiule e con la gerla sulle spalle, mentre andavano per boschi, prati o campi, impegnavano il tempo della camminata lavorando a maglia.