I ponti dei sospiri, David Riondino mette in musica luoghi e ricordi
LIGNANO. Un duo inedito, ma non troppo quello che darà vita martedì 27 agosto, alle 21, nella Chiesetta di Santa Maria del Mare a Lignano a I ponti dei sospiri, una serata di parole, testo di Pier Luigi Berdondini per l’interpretazione di David Riondino e musiche del flautista Roberto Fabbriciani.
E il pensiero va subito al più celebre dei ponti dei sospiri, quello veneziano. E su quel paesaggio, «il paesaggio veneziano – così Riondino – si depositano, scintillano delle memorie e delle suggestioni sentimentali».
Che trovano riscontro nella musica di Fabbriciani. Anzi, «la musica, racconta il compositore, è venuta prima, tanti anni fa oramai, alla quale Berdondini ha recentemente dato veste poetica. I ponti del titolo, oltre a quello celebre di Venezia, sono luoghi, e molti ce ne sono nel mondo, in cui si consumano amori e sofferenze, incontri e dolori. Ci saranno anche delle immagini che rimandano a questi luoghi evocati dalle parole ma che dalla musica vengono resi ancor più evocativi».
E che tipo di musica sarà?
«Ispirata alla storia di Venezia e alla sua tradizione musicale barocca, alla cui facilità mi sono molto ispirato senza però rinunciare ad accenti moderni, echi di certa musica contemporanea. Musica indubbiamente fruibile, facile perché deve raccontare l’amore e la sofferenza dei vari ponti dei sospiri».
Questo il tema della serata lignanese?
«Non è il primo evento che mi vede accanto a Fabbriciani, è un sodalizio, il nostro, che risale a quando Luigi Nono con Renzo Piano mise in scena il Prometeo nella chiesa di San Lorenzo a Venezia, ormai quarant’anni fa. E subito dopo facemmo uno spettacolo che si chiamava I sette peccati capitali, in cui io dicevo poesie, pagine di grande letteratura che avevano a che fare appunto con superbia, avarizia, ira, invidia, lussuria, gola e accidia, e per illustrare i quali avevo scelto dei testi sui quali lui inseriva pagine di composizioni celebri e altre di sua scrittura. Un’interazione tra musica e parole che ormai tra di noi funziona alla perfezione, anche se a scrivere il parlato sono io, come nel caso di Da Ponte, lo spettacolo che facemmo sulla vita del grande librettista mozartiano. Che Roberto impreziosiva con i suoi interventi al flauto».
Lei Riondino è artista poliedrico, cantautore, attore, scrittore con diverse pubblicazioni quali Il trombettiere e Sussidiario (tanto per rimanere agli ultimi. In quale di queste vesti si trova meglio?
«Non c’è differenza tra questi miei modi di esprimermi. Ormai, ad esempio, l’andare in scena è sostanzialmente un modo di scrivere: da tempo a teatro, per ragioni che sono economiche in primis ma anche legate al gusto mutato del pubblico, si è diffusa non direi la moda, ma sicuramente una maniera di stare sulla scena, una teatralità minima fatta solo con un leggio, un accompagnamento musicale, magari qualche proiezione e soprattutto storie da raccontare. È teatro legato spesso a occasioni, una specie di liturgia civile che nasce per contesti precisi. Un modo di fare teatro molto semplice ma efficace e spesso fuori dalla routine.
Lei deve molto della sua popolarità alla televisione: come è il suo rapporto con la tv oggi?
«La seguo poco, vedo autori e interpreti che paiono come intimiditi, bloccati, un tantino conformisti: esattamente il contrario di quanto accadeva allora in cui si era quasi obbligati a fare satira di peso, provocatoria: insomma quell’épater les bourgeois di cui nella tv di oggi sembra si sia persa ogni traccia».