L’omaggio di Dante Spinotti dedicato alla sua Carnia: «Ci torno d’inverno con le feste di Natale»
Nella rassegna organizzata da Pro Loco, associazioni e Comune, venerdì 30 agosto, alle 20.30, alla piattaforma polivalente di Ovaro si fa il bis: con il direttore della fotografia di fama mondiale Dante Spinotti e il figlio Riccardo si proietta su grande schermo, in prima visione, “Don’t be my friend”, film diretto da Riccardo Spinotti, ambientato in Carnia e con attori locali.
Una settimana fa è stato proiettato “Posso entrare? An ode to Naples (Un’ode a Napoli)”, film diretto da Trudie Styler, prodotto da Luciano e Lorenza Stella per Rai cinema, magistralmente catturato dall’obiettivo di Dante Spinotti e vincitore del Globo d’oro 2024 come migliore documentario. A marzo esce il film, di cui è Dante è molto orgoglioso, “Alto Knights” con Robert De Niro. Professionista di grande esperienza e bravura, sempre aperto alle nuove generazioni, Dante si divide tra Muina di Ovaro, per lui casa, e Los Angeles.
Dante, torna sempre volentieri in Carnia?
«È per me un posto talmente familiare che non è vacanza, è quasi più un cambio di residenza. A me piace venirci specie d’inverno: arrivare, accendere il caminetto, le feste di Natale. Mio figlio ora risiede qui, nella casa di famiglia, perciò si è aggiunta una ragione in più».
Come vede la Carnia?
«Noto un passaggio generazionale in atto: un sacco di giovani svegli, preparati, belli, simpatici. Auguriamoci sappiano costruire bene il futuro della Carnia. C’è un problema di svuotamento dei paesi, giovani andati via, ma c’è pure chi arriva: vicino a noi una famiglia di rumeni sta ristrutturando casa per venirci ad abitare e una famiglia di olandesi ha acquistato casa. I cambiamenti climatici conferiranno nuovo valore a questi posti».
Venerdì 30 agosto si proietta a Ovaro il film di suo figlio Riccardo.
«Lo ha girato nella valle e con attori tutti del paese. È una storia inusuale, dove filtra umanità e poesia. Narra di un percorso di vita coi suoi drammi. Una specie di sogno, un film dell’horror ma senza sangue. Ci sono molti animali. Trovo in questo film molti momenti poetici».
Ha fatto approdare Napoli a Ovaro con il suo docufilm?
«Napoli è una città molto affascinante come umanità, c’è gente che cerca di vivere e sopravvivere con un’energia particolare. Trudie Styler ha voluto fare un film su gente ricca, povera, immigrati, poeti, industriali, lavoratori, attività. Una quarantina di personaggi. Uno dei principali è Don Antonio, che nel Rione Sanità cerca di togliere alla camorra i giovani con corsi di yoga, pugilato, teatro. Lui mi ricorda quello che era Pierluigi Di Piazza in Friuli».