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Oasport: Nuoto paralimpico: Super-Italia a Berlino! Morlacchi, medaglie e record
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Basket: è morto Drazen Dalipagic, leggenda del basket slavo. In Italia incantò Udine, Venezia e Verona

25 gennaio 1987. Per chi c’era, quel giorno, all’Arsenale di Venezia, fu qualcosa di indimenticabile. Fu quello dei 70 punti di Drazen Dalipagic, uno dei tiratori più implacabili e di maggior classe che il basket jugoslavo, e dell’area slava tutta in generale, abbia mai generato. Oggi quel record Praja lo porta con sé là dove non può essere più richiamato. Ci ha lasciati oggi, a 73 anni, dopo una lunga malattia.

A ricordarlo tutti i club che hanno avuto l’onore di avere un tale talento tra le proprie fila: Partizan, Reyer Venezia, Real Madrid, Udine, Verona e proprio alla fine Stella Rossa, dall’altra parte di Belgrado. Classe 1951, era una macchina da canestri di raro eguale in Europa già fin dai primi anni con il Partizan: a Belgrado rimase dal 1971 al 1980 portandosi a casa due Coppe Korac e trascinando la Yugoslavia all’oro mondiale nelle Filippine nel 1978. Una rassegna, questa, della quale Dalipagic fu nominato MVP. Quell’anno il miglior quintetto, a leggerlo così oggi, fa venire i brividi: Cosic, Dalipagic, Kicanovic, Oscar, Tkachenko. Fu l’anno delle finali decise da un unico punto: quella per l’oro tra Yugoslavia e Unione Sovietica e quella per il bronzo tra Brasile e Italia, che mancò il podio per un tiro da distanza siderale per uno dei destini più assurdi di una spedizione azzurra.

Dalipagic giunse in Italia per la prima volta nel 1980 a Venezia, realizzando subito oltre 1000 punti (1049), ma fu l’anno dopo che si rese epocale di ritorno al Partizan. Nel campionato nazionale realizzò 42,9 punti di media a partita. Già un dato enorme, si direbbe. Piccolo dettaglio: all’epoca di qua dall’Oceano il tiro da tre punti non era ancora stato introdotto. 42,9 punti di media, senza tiro da tre, a pensarlo oggi, è appena meno di una follia. Per lui no. Nel frattempo era diventato anche oro olimpico a Mosca nel 1980, in una finale che vide la Yugoslavia battere l’Italia.

Breve la sua esperienza in Spagna, con il Real Madrid che poté usarlo solo per la Coppa dei Campioni (odierna Eurolega), qualcosa che al tempo si poteva fare e che fu sfruttata più di una volta. Il suo futuro, però, era in Italia: due stagioni a Udine, tre a Venezia e una a Verona, sempre al massimo ritmo. Basti dire che, in Italia, la sua media punti totale è stata di 33,2 punti per gara. Altro dettaglio: su 241 partite. Nella stagione successiva al record dell’Arsenale riuscì a vincere la classifica dei marcatori segnando 1417 punti, che corrispondevano a 37,7 a gara. Tutto questo nell’epoca in cui doveva rivaleggiare con Oscar Schmidt, la Mao Santa brasiliana che incantava Caserta.

Dopo una breve parentesi da allenatore tra Gorizia, Skopje e l’Astra Banka, ha avuto due figli dall’ex tennista Sonja Pozeg, Sanja e Davorin, con quest’ultimo che ha anch’egli giocato a basket con passaggi a Napoli e Latina. Di quel giorno del 1987 citato all’inizio così parlò Sandro Gamba, uno che due cose di basket le sapeva: “Poteva calciare con i piedi e far canestro”. Non è rimasto record assoluto di punti nel massimo campionato (che appartiene a Sandro Riminucci: 77) e nemmeno, ovviamente, tra A1/A e A2 (Carlton Myers: 87). Ma rimane il segno testimoniale di un giocatore che ha segnato un’intera epoca.




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