Pietro Sighel: “Van’t Wout era lì per gareggiare o dare spallate? Dandjinou non è un dominatore”
Tra i grandi attesi in chiave Milano Cortina 2026 non può che esserci lui, Pietro Sighel. Il fuoriclasse italiano dello short track sta vivendo una stagione molto positiva, come certificano i tanti podi nel World Tour e, ovviamente, nel contesto dei recentissimi Campionati Europei di Dresda.
L’azzurro ha svelato le sue ambizioni a “Salotto Bianco“, dove è stato ospite di Dario Puppo e Massimiliano Ambesi in occasione della puntata di lunedì 10 febbraio, andata in onda sul canale YouTube di OA Sport.
In apertura L’azzurro ha parlato dell’atteggiamento dell’olandese Van’t Wout, a suo modo non correttissimo durante il weekend a Tilburg, dove il nostro portacolori ha conquistato il terzo posto nei 1500 metri e nelle due staffette: “In finale l’olandese mi ha dato una spallata, poi l’ha data anche a Luca Spechenhauser, il mio compagno di squadra. Non so se era lì per gareggiare o per spalleggiare. Sulla mista, io pensavo lo squalificassero, lui nel cambio di linea all’interno per prendere il cambio mi ha tagliato la strada, toccandomi le lame e buttandomi giù. Poi è stata una situazione particolare, non era un fallo però se mi tagli e butti in terra… E’ stato un peccato, ma almeno abbiamo portato a casa la medaglia, visto che tra un evento e l’altro la mista è stata un osso duro”.
Sighel ha poi parlato della prova di Assago prevista a partire da oggi: “A livello di esperienza, vorrei vedere tanto pubblico italiano. Tra i pezzi dei biglietti alti, la poca polarità dello sport, la presenza di italiani ci sarà, ma non credo sarà maggioritaria, spero che non sia così. Gli asiatici sono molto fanatici, partiranno alla carica, arriveranno qua. Oltre al tifo questo weekend sarà un’occasione per valutare gli spazi per il riscaldamento, per la palestra, per come muoversi in pista. Tutti i tempi tecnici dallo spogliatoio alla pista, dove si entra dove si esce. Ma sarà più un discorso sul pre e post gara; sarà importante capire come gestire queste cose, specialmente la questione riscaldamento tra un turno e l’altro, trovare lo spazio giusto al momento giusto. Lo short track è uno sport poco conosciuto, ma a livello di spettacolarità ha pochi rivali, anche al cospetto di sport estivi.
Una cosa non andata giù al pattinatore nell’ultimo periodo è la visiera utilizzata dagli olandesi, equipaggiamento che teme possa diventare obbligatorio anche per le altre Nazioni: “Io spero che non l’approvino mai, anzi spero che la tolgano. Come la tocchi, la maschera va via, non ha provocato delle squalifiche palesi. Quando vanno via è perdita di materiale di sicurezza, l’atleta va squalificato. Io posso capire le prime volte che era un casco nuovo, ma al primo contatto hanno perso la visiera, non l’hanno raccolta e hanno continuato la gara. Puoi perdere l’occhiale, ma capita di rado. La visiera è caduta quasi ad ogni tappa. È un problema. La mia paura è che ci obblighino ad utilizzarla, l’occhiale è più utile e sicuro. La visiera non ha un’utilità in più”.
Sighel, figlio d’arte, è rimasto colpito dalla storia della zia delle sorelle Velzeboer, paralizzata da un’incidente avvenuto in allenamento, a pochi mesi della scomparsa della punta della Nazionale azzurra, Maria Rosa Candido. Un periodo oscuro per lo short track, complice anche un altro incidente, quello di Mirko Vuillermin. “Papà mi ha raccontato tante storie. La squadra maschile ha perso dei fenomeni, Mirko era qualcosa di indecente in senso positivo per le qualità che aveva. Quando capitano queste cose è una botta pazzesca. Non si è più tornati a quel livello per quella situazione degli anni Novanta, c’è stata una distruzione. Si è passati a perdere atleti non perché smettessero, ma per disgrazie. Io sono contento di fare parte di questa squadra perché stiamo risollevando il movimento non per risultati ma per equità, siamo tutti di buon livello, ci sono i giovani, c’è una progressione non indifferente. In Italia non si vedeva da una vita. L’anno prossimo è quello Olimpico, farò del mio meglio, la medaglia se deve arrivare arriverà io ci metterò il massimo del potenziale, poi quel che sarà, sarà. Anagraficamente parlando quelle del prossimo anno sono quelle più mie, anche se nel 2030 non sarò vecchio. Ma vedremo“.
Tra i grandi protagonisti del movimento c’è William Dandjinou, a parere di Sighel fortissimo, ma non un dominatore: “Quest’anno ha dimostrato di essere il più forte, quando è in forma è dura. Batterlo a Montreal il secondo weekend si poteva fare, ma ha vinto lui. Ma fuori dal suo schema va in pappa, nei 1000 ha provato ad andare davanti, lo hanno bloccato e non ci ha capito più nulla, non è riuscito a tirarsi fuori. I 1000 e 1500 li ha dominati, ma per me non è un dominatore. L’anno scorso ha battagliato con Park, quest’anno siamo partiti con Cina e Corea che pensavano agli Asian Games, anche perché Park se non faceva oro non sarebbe potuto neanche qualificarsi alle Olimpiadi perché sarebbe dovuto andare a fare il militare, solo vincendo ha avuto l’esenzione. Corea e Cina erano sottotono all’inizio. William nella prima parte ha sfoggiato un grande livello, ma quando tutti sono in forma uguale non è dominante o superiore. Per me dominante era Wu Dajing nel 2018. E’ il più forte, non lo metto in dubbio. Ma vincere una cosa, dominare è un’altra”.
Ma quanto si sente lontano Sighel dal canadese? Nella prima settimana in Corea un pochino, meno nella seconda, però al momento si può superare, non è quello di Montrèal né quello che c’era in Asia. Ha tanta sicurezza, gli altri lo temono così tanto che a volte manco ci provano ad attaccarlo, facendo un po’ il suo gioco. I cartellini gialli che ha sono pesanti, quelli nei 500 è stata una casualità perché il giapponese ha allargato l’entrata per difendersi sull’olandese, lui si è ritrovato nella sua traiettoria. Ne ha presi comunque due, due gialli in un weekend significa rosso, infatti la staffetta non l’ha gareggiata. Ora la commissione si deve riunire per capire se deve saltare una gara; non credo succederà, ma sono cose che comunque ti condizionano”.
Il nativo di Trento ha poi parlato nuovamente delle sorelle Velzeboer, rimarcando la loro formazione nello short track: “Loro sono improntate sullo short track, hanno fatto solo quello secondo me. Io ho fatto qualcosa in pista lunga e non le ho mai viste, se l’hanno fatta, significa che ne hanno fatta poca. Vengono da una squadra di Utrecht dove hanno tirato fuori una serie di campioni. Quindi loro lo fanno da sempre e vengono da un club che ha alzato tanto il livello, il traino della nostra generazione”.
Infine, non poteva mancare una domanda sulle ambizioni in vista di Milano Cortina 2026: “A Pechino non avevo nulla da perdere, avevo quella libertà mentale che è invece un vantaggio rispetto a chi è consapevole di potersi giocare qualcosa. L’approccio è diverso. Posso trarre vantaggio dal calendario. Nel 2022 pensavo di patirlo, invece non è andata così. Mentalmente però ti schianta tra attenzione mediatica, pressione. Stai in ballo dieci giorni in una bolla dove sei bombardato da una parte e dell’altra. Ma fisicamente non mi dispiace. E’ importante non mollare e tenere i nervi saldi per 10 giorni; mi chiedono sempre di Milano Cortina, io vado lì per provare a vincere la medaglia, inutile dare risposte ipocrite. Mi sento responsabile di me stesso e ovviamente l’approccio mentale fa la differenza, a Pechino ero libero. Magari faccio tre qualificazioni, tre penalty, tre cadute ed è finita. Le Olimpiadi sono così“.