Torniamo a casa nel modo più inglorioso possibile. Non perché ad eliminare l’Italia sia la Svizzera, ma perché tutto avviene in una serata che offende quello che rimane della storia e del blasone di una nazione che vive di calcio e che si sta ormai abituando a perdere. Sempre e male. Con l’unica straordinaria eccezione dell’Europeo che ormai è storia. L’Italia esce di scena umiliata dalla Svizzera. Non deve trarre in inganno il piccolo forcing che ha prodotto un palo con Scamacca quando gli elvetici si sono chiusi a protezione del doppio vantaggio.
L’Italia ha perso senza nemmeno mai entrare in partita, dominata nell’organizzazione in tutte le zone del campo, battuta in ogni reparto e duello uomo contro uomo. Tradita dai suoi giocatori di riferimento (Donnarumma a parte), ma anche e soprattutto dalle scelte di un commissario tecnico che ha varato l’ennesimo ribaltone ripudiando il modulo che ci aveva salvato con la Croazia, gettando a mare Jorginho per puntare su Fagioli – inadeguato al compito e al contesto -, accatastando attaccanti ed esterni quando la situazione si è rivelata compromessa. Tutto senza un filo logico e, quello che è peggio, senza nemmeno la sensazione di una scossa emotiva.
Luciano Spalletti va ringraziato per aver raccolto la nazionale abbandonata da Mancini nel cuore della scorsa estate. Non ha avuto tempo e modo di lavorare su un progetto tecnico, ma questa rischia di diventare un’aggravante nel processo che si apre inevitabilmente sul suo contributo a questa disgraziata trasferta in terra tedesca: non abbiamo mai avuto un’identità che si è persa nella girandola di esperimenti, cambi e rivoluzioni che ha accompagnato le quattro partite. Il bilancio è sconfortante: una vittoria contro l’Albania, il pareggio in extremis con la Croazia e due sconfitte brucianti per come sono maturate contro Spagna e Svizzera.
C’è chi chiederà la testa del ct e chi (tanti) si accaniranno su Gravina e sulla Federcalcio. Nel primo caso si può decidere qualsiasi cosa, ma deve essere chiaro che la soluzione non può essere sempre ripartire da zero e, in fondo, va dato atto all’Italia di essere venuta fuori da un gruppo durissimo dentro un Europeo che nella prima fase ha visto deludere molte delle big o presunte tali. Per il secondo quesito, sono cose di politica sportiva. Che questa nazionale avesse tanti nemici lo ha chiarito la freddezza con cui è stato accompagnato il viaggio in terra di Germania.
Il campo ha detto che più di questo non meritavamo, che c’è un unico fuoriclasse (Donnarumma) e qualche ottimo giocatore arrivato, però, fuori condizione e impiegato pure non nella maniera ottimale. Il resto è una preghiera: che i risultati macinati dalle nostre Under negli ultimi due anni siano la promessa che qualcosa sta cambiando. Così è un’agonia. Lenta e irreversibile.
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