Arles città della fotografia
Le mostre sono tante, c’è da perdere la testa, o da procurarsi una guida di cui fidarsi. Poi, però, vince la curiosità, val la pena farsi catturare dalle fotografie che a ogni angolo della città provenzale di Arles fanno l’occhiolino. Sedi espositive, gallerie d’arte, librerie, case private, piazze e locali traboccano di immagini. Siamo a Les Rencontres d’Arles, aperti fino al 29 settembre, con oltre 40 mostre e 200 autori, forse il raduno fotografico più importante del pianeta. Quella che si tiene ad Arles quest’anno è la 55esima edizione: fa il punto su un linguaggio e un mestiere messi a dura prova dai mezzi contemporanei di produzione e diffusione (la Rete, i social) e dalla crisi del giornalismo di reportage, considerato un costoso lusso, rara avis nel sistema informativo.
Tanto è vero che i fotografi puntano più volentieri sulla forma d’arte, destinata alle gallerie e al collezionismo. Non sono più i tempi di Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, Steve McCurry, Federico Patellani, Paolo Pellegrin, Dorothea Lange, per fare nomi che i giornali disputavano a suon di quattrini. Tuttavia non si disperi: incoraggiati da un Pernod sorseggiato nei bar dei due alberghi di Place du Forum - il Nord Pinus e l’Hotel du Forum, popolati di fotografi, curatori, galleristi - si parte alla scoperta di un mondo tutt’altro che morto. Mutato sì, in profondità, ma capace di leggere lo spirito dei tempi e aiutare a capire la realtà e i sogni - sia pure traditi - che la innervano. L’esperta Giovanna Calvenzi, photoeditor e critica di fama internazionale, nonché curatrice della vasta opera del marito Gabriele Basilico (scomparso nel 2013), ci indirizza da Sophie Calle, autrice formidabile. Assieme ad altre donne dà il segno della nouvelle vague femminile nella fotografia. Non sarà un caso se il manifesto di Arles reca un’immagine realizzata da Cristina de Middel (tratta dalla mostra Journey to the Center), che documenta le migrazioni dal Centro America attraverso il Messico, per giungere in California, con un tocco poetico unico, il quale non offusca la denuncia del reportage.
Ma non dimentichiamo Calle. Espone nei criptoportici, luogo sotterraneo dove gli antichi romani conservavano le merci. Alcuni, poco rispettosi dei tesori archeologici cittadini, lo hanno trovato umido, cupo. La mostra, nata per rimediare alla distruzione causa tempesta dei lavori della fotografa, poco prima che raggiungessero il Musée Picasso di Parigi, ruota sulla serie The Blind, sepolta nello storico ipogeo. E interroga sulla perdita, il lutto, la morte e soprattutto la bellezza della caducità. Anche con oggetti quotidiani della Calle, interrati quali forma suprema di pulizia interiore. Al Palais de l’Archevêché, da non perdere la carrellata di autrici giapponesi, dal 1950 a oggi. Il recupero del lavoro delle donne, qui rappresentato da 25 artiste, fornisce un illuminante compendio della ricerca in un Paese che sempre più merita di essere conosciuto per la produzione di immagini. Arles è il palcoscenico ideale.
Ma che cos’è il linguaggio visivo? Bello confrontarsi con fotografi e critici, ancor meglio tuffarsi tra le fotografie (circa 5.500, di 100 fotografi) raccolte negli ultimi decenni dalla Fondazione A-Astrid Ullens de Schotten Whettnall, con focus sulla fotografia documentaria. La mostra si intitola Quando le immagini imparano a parlare: il collezionismo mezzo di mediazione culturale. Segnaliamo, dopo ore di pellegrinaggio, e ulteriori Pernod - ci sono anche gli spritz, per i nazionalisti -, la mostra Echoes, del francese autodidatta Stephen Dock che reinterpreta le fotografie realizzate nel 2011, quando aveva 22 anni, in Siria, a conflitto appena scoppiato. Un modo per riflettere su un genere principe della fotografia di ogni tempo, dalla guerra di Crimea (1853-1856) ai giorni nostri. Sorprendente il barocco quotidiano nelle fotografie di Rajesh Vora, scattate nel Punjab. Si tratta di carcasse d’aerei e auto sui tetti, giganteschi eroi del pallone, animali, fiori di loto. Punteggiano, quali totem inseriti sulle abitazioni, il paesaggio urbano e servono a Vora, fotografo indiano che vive a Mumbai, per svelare uno scorcio pop del suo immenso Paese.
Nell’estate delle Olimpiadi parigine, d’obbligo visitare la mostra Le sport à l’épreuve, con immagini dalle ricche collezioni del Museo olimpico e del Photo Elysée di Losanna. Il connubio tra attività sportiva agonistica e racconto fotografico è collaudato: non possiamo neppure immaginare che una esista senza l’altro, almeno dai primi giochi olimpici moderni, ad Atene nel 1896. Ancora tocco femminile - non ghettizzante - nelle opere di Nhu Xuan Hua e Vimala Pons, artiste che mettono in mostra, attraverso frammenti, le case che hanno abitato. Il paradiso e l’inferno di una vita segnata da vertigini poetiche. Giovanna Calvenzi ci aveva anche indicato le fotografie di Mary Ellen Mark, che ha attraversato da protagonista, con ritratti di celebrities per le maggiori riviste, decenni di società americana. Ad Arles sono esposti i suoi lavori più d’impegno, dai bambini di strada a Seattle a Madre Teresa di Calcutta morente.
Critica radicale della rivoluzione verde, che prometteva miracoli, sono le immagini realizzate da Bruce Eesly per la mostra New Farm: giganteschi cavolfiori, cipolle grandi come una cesta, mostruosità vegetali presentate dall’artista visuale tedesco che utilizza, per i suoi lavori, anche l’intelligenza artificiale. Non ne ha paura, gli serve per denunciare, con un pizzico di ironia, le manipolazioni in atto. Mentre stanno tornando sulle rotaie europee i treni di lusso, con servizi da hotel 5 stelle, possiamo vedere nella mostra Wagon-Bar l’evoluzione (e l’involuzione, nella maggior parte dei casi) della ristorazione ferroviaria. Che ha una lunga storia: partita dagli Stati Uniti negli anni Sessanta dell’Ottocento, conquistò velocemente l’Europa. Un’infinità di romanzi, poi di film, hanno trattato di pranzi a bordo, di grandi bottiglie stappate, di delitti consumati tra caviale e foie gras, di amori iniziati nei vagoni ristoranti, belli come i migliori locali di Parigi o Londra. Le foto in mostra provengono dalle collezioni dell’ex Compagnie Internationale des Wagons Lit e dagli archivi della Sncf, la società ferroviaria francese.