Farmaci per dormire: ecco perché è bene non abusarne
“La medicina ha fatto così tanti progressi che ormai più nessuno è sano”, osservava amaramente Aldous Huxley. La sua distopia, “Il mondo nuovo”, appare ancora oggi come profetica. Pubblicata per la prima volta nel 1933, ha saputo fotografare il nostro presente con acume. Seppur precedente, già segnava un netto passo in avanti rispetto alle opere di Orwell. Il potere abbandona il suo lato feroce, costrittivo e si fa seducente, smart. Non obbligare ma indurre all’obbedienza. Sono questi i contorni del nuovo totalitarismo. Come più volte è stato ribadito, la società odierna sembra costellata da tante esistenze ossimoriche. Belli fuori ma dentro sempre più fragili, angosciati, inclini alla depressione. E per tornare sulla retta via, ci si affida ai farmaci, ai tranquillanti. Rimedi temporanei di un malessere senza fine. Da almeno un decennio, importanti ricerche sottolineano come i disturbi del sonno siano un male della nostra epoca. Colpiscono il 20% degli europei e hanno un’influenza negativa sulla qualità della vita. Dal rendimento sul lavoro fino agli incidenti stradali: non dormire bene può rivelarsi fatale. Contare le pecore la notte non piace a nessuno, ed è per questo che fare ricorso a medicinali è diventata una routine. Quelli più utilizzati rientrano nella classe delle benzodiazepine. Xanax, Valium, Ativan sono tra i più famosi. Necessitano di prescrizione medica e hanno il compito di alleviare l’ansia e indurre il sonno.
Ma occhio ad abusarne. Recenti studi scientifici, infatti, suggeriscono un’associazione tra il rischio di demenza e gli aiuti per dormire, sia prescritti che da banco. “La mia memoria è decisamente peggiorata”, rivela uno dei partecipanti. “Mi preoccupo sempre dei sonniferi e della mia mancanza di sonno che causa demenza. Eppure, ogni volta che ho provato a smettere, ho pagato il prezzo con notti insonni”, conclude rammaricato. Si tratta di lavori pubblicati su autorevoli riviste, come il British Journal of Clinical Pharmacology o la casa editrice Ios Press, che da anni si occupa di tematiche mediche. Tuttavia, gli stessi esperti mettono in guardia dal giungere a conclusioni affrettate. E la relazione causa effetto ancora non è dimostrabile. Ma come afferma Philip D. Sloane, ricercatore che da anni si dedica al problema dell’Alzheimer, “ci sono molti motivi validi per diminuire l’assunzione di sonniferi, dal momento che sono all’origine di diversi disturbi comportamentali”.
Ma il vero campanello dall’allarme è rappresentato dalla dipendenza che tali rimedi possono creare. Anche di fronte al pericolo della demenza, molti pazienti non riescono a rinunciare ai sedativi. Anzi, si affidano in maniera massiccia ai farmaci da banco per evitare le prescrizioni. Questi ultimi sono definiti come anticolinergici; in quanto bloccano l'azione dell'acetilcolina, un neurotrasmettitore fondamentale per la memoria, l’apprendimento e l’eccitazione. Nonostante questi tipi di rimedi siano meno impattanti, la continua assunzione nel corso del tempo “può avere un influenza negativa sul cervello”, come ribadisce il dottor Sloane. E anche l’età è un fattore chiave. Come riporta l’Istituto Superiore di Sanità, la demenza è una condizione che interessa dall’1 al 5 per cento della popolazione over 65, arrivando al 30 per cento una volta raggiunti gli 80 anni. Tutto ciò va a inficiare il normale svolgimento della vita quotidiana. Si deve inoltre ricordare che la demenza è un insieme di segni e sintomi causati da diverse malattie; la più frequente e più nota è l’Alzheimer. È chiaro che con l’insonnia la linea di confine sia sottile; dormire male può agire in maniera negativa sui processi mentali. Ma è bene recidere quel cordone ombelicale che ci lega sempre di più ai medicinali. O quantomeno prendersi una pausa ogni tanto. Perché come affermano gli esperti, anche al cervello va da data la possibilità di resettarsi.