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"Popolare" che diventa fuorilegge

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Al grande suk delle case popolari si trova sempre qualcuno pronto a soddisfare una richiesta: dalla compravendita all’affitto, fino all’occupazione. E non sempre con finalità soltanto economiche. Entrano in gioco interessi elettorali e perfino ideologici. Ogni passaggio degli speculatori si lascia dietro macerie sociali, promesse tradite e puzza di denaro sporco. Non importa se siamo a Bari o a Milano, le dinamiche sono: politica, mazzette, tangenti. Con la criminalità che si fa strada dove la legalità non arriva più. La scena si ripete. Le case popolari, più che una risposta per le famiglie in difficoltà, diventano una merce di scambio nelle mani di chi sa come sfruttare la disperazione. Chi ha bisogno di un tetto trova uno sportello che accoglie la sua richiesta solo se è disposto a pagare un prezzo che non ha niente a che fare con il valore dell’immobile. A Catanzaro, per esempio, il «Sistema Aterp» non è solo una storia di appartamenti assegnati grazie a una mancia, ma un oliato meccanismo criminale, in cui il funzionario pubblico e la mala si sono incontrati. Il nomignolo di Gianluca Bevilacqua, «Coremalato», risuona tra gli uffici pubblici e nelle pagine dell’indagine. Ma il vero dramma, hanno scoperto gli inquirenti, sta nel fatto che le abitazioni destinate a chi davvero aveva bisogno rimanevano vuote. Una strategia che, secondo l’inchiesta, avrebbe garantito mazzette ai funzionari e un ambiente favorevole per le attività illecite. Anche l’ufficio Patrimonio, pur informato sulle irregolarità nelle assegnazioni, avrebbe scelto di ignorarle. E mentre l’ente accumulava crediti per circa 11 milioni di euro, nessuno avviava le procedure di riscossione né aggiornava gli elenchi dei debitori. A Bari la situazione è ancora più evidente. Gli edifici delle case popolari sono blindati, ma i clan riescono a entrare lo stesso, scavalcando leggi e calpestando regole. E non si tratta di semplici occupazioni.

La criminalità organizzata usa gli appartamenti come basi operative per le proprie attività. E non si contano più le famiglie che entrano senza titolo. Il questore, Giovanni Signer, ha raccontato un episodio emblematico: «Su sollecitazione del presidente dell’Arca siamo intervenuti nel quartiere San Girolamo per un caso eclatante. Una nota famiglia malavitosa, assegnataria di un alloggio popolare, aveva deciso di personalizzarlo con opere abusive. Abbiamo effettuato rilievi dall’alto con l’elicottero e segnalato il caso». Ma è solo il tassello di un puzzle più ampio. Pietro Augusto De Nicolo, amministratore dell’Arca, snocciola cifre che raccontano un’emergenza strutturale: «Gestiamo 21 mila appartamenti e registriamo 1.400 occupazioni
abusive. Solo a Bari sono 500, ma in alcune città si arriva al 12 per cento del totale». La dinamica è sempre la stessa: «Un alloggio si libera per il decesso dell’assegnatario o per uno sfratto. Nel giro di24-48 ore il Comune dovrebbe riassegnarlo, ma nel 90 percento dei casi è impossibile: l’abitazione viene occupata immediatamente». Una lotta contro il tempo che ha spinto l’Arca a blindare gli alloggi non appena tornano disponibili. Ma neanche questo basta: «Abbiamo casi di occupazioni lampo con la fiamma ossidrica». Segno evidente che dietro il fenomeno c’è la criminalità organizzata. «I cognomi che compaiono negli elenchi degli occupanti abusivi» spiega De Nicolo «sono sempre gli stessi: quelli dei clan».

A Torino la lotta all’occupazione illegale si scontra con la resistenza feroce della criminalità. Un episodio inquietante ha acceso i riflettori sulla posta in gioco: un furgone rubato è stato lanciato in piena notte contro il cancello principale della sede dell’Atc Piemonte Centrale, l’ente che gestisce le case popolari. Un avvertimento. A Palermo, Alessandra Russo, commissario dell’Iacp, sembra combattere da sola. «È una situazione insostenibile. Dove ci sono occupazioni abusive e chiediamo l’intervento del Comune, questo ci risponde dicendo che non ha i mezzi per intervenire». E poi c’è la politica, spesso l’altra faccia di questo sistema marcio. Quella che compra voti promettendo case o che usa l’emergenza abitativa come una leva per accumulare potere. A Cercola, in provincia di Napoli ,la Procura guidata da Nicola Gratteri ha scoperto che i clan promettevano appunto case popolari in cambio di voti. Le case alla fine erano solo un altro strumento di controllo. Come a Frosinone, dove l’edificio che tutti chiamano il «Casermone» è ormai da tempo un covo di pusher e occupanti abusivi. In quei corridoi senza fine, tra portoni sventrati e scritte sui muri, tra storie di sfratti esecutivi e abusivi che resistono, si nascondevano anche i protagonisti di un omicidio del marzo scorso. E se a Verona un’abitazione popolare era stata trasformata in una struttura turistica abusiva, con ben tre affittacamere clandestini, pubblicizzata sui principali siti di settore, a Milano tre palazzine da destinare all’housing sociale che non avrebbero dovuto superare i20 metri si sono trasformate in torri da 23 piani, con quadrilocali in vendita a oltre mezzo milione di euro. È la parabola della Park Tower di Bluestone, epicentro di una maxi in-chiesta della Procura milanese per gli abusi edilizi. Ma è a Bologna che gli amministratori si sono superati. L’ultima iniziativa di Matteo Lepore è un bando per il progetto di cohousing denominato «Piano per l’abitare» che prevede un requisito ben preciso: per accedere agli alloggi bisogna essere «attivisti sociali o ambientali» e dimostrare affinità con il progetto. Il reddito o la necessità abitativa soccombono all’ideologia.




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