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Cosa c'è nella caraffa

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È la moda del momento. Non c’è ristoratore di tendenza e soprattutto green correct che non si vanti di averla nel menu. I più sfrontati non aspettano nemmeno che il cliente cominci a ordinare e piazzano già la caraffa d’acqua del rubinetto microfiltrata, con tanto di scritta chimica «H2 O», in bella mostra sul tavolo. Idem nelle case. Se al rubinetto non è attaccato il sistema di filtraggio, sei out, non ami la natura o, quantomeno, sei preistorico. L’acqua potabile trattata è un imperativo per chi vuole il distintivo di paladino dell’ambiente con la motivazione di combattere la plastica e risparmiare il vetro. Salvo poi scoprire sul conto che la caraffa gli è costata quanto un litro di minerale in bottiglia. Sorride, invece, il ristoratore che ha fatto bingo: risparmia sul frigo, non deve preoccuparsi di avere un magazzino per lo stoccaggio e ci guadagna pure. «Circa 18-20 mila euro l’anno» commenta con Panorama il consigliere delegato e vicepresidente di Mineracqua (l’associazione che riunisce i produttori di minerali), Ettore Fortuna.

Chi invece ha applicato il filtraggio al rubinetto di casa gongola nell’illusione di avere una sorgente a portata di mano, come gli ha promesso la società che gli ha venduto l’impianto. Il marketing in queste operazioni gioca un ruolo fondamentale. Gli interessi in ballo sono tanti, come è facile intuire. Ecco qualche dato. Nel 2023 sono stati bevuti 14,7 miliardi di litri di minerale imbottigliata, con un consumo pro capite pari a 245 litri all’anno, per un giro di affari da 3,3 miliardi di euro. In Italia esistono 230 marche di acque confezionate che si distinguono per quantità e qualità di sali minerali, per il grado e la modalità dell’effervescenza. Sempre nel 2023, sono state quelle «lisce» le padrone della tavola con il 69 per cento del consumo totale, mentre le gassate sono a quota 17 per cento e le effervescenti naturali al 14. Mettere le mani su questo mercato fa gola. Al punto che, per convincere i consumatori, «spesso le case produttrici dei sistemi di filtraggio si impossessano della terminologia che appartiene alle definizioni scientifiche sulle acque minerali» afferma Fortuna, che sul tema ha intentato diverse cause portando in giudizio anche grossi gruppi industriali dei dispositivi di trattamento.

Cerchiamo di capirci qualcosa di più. La prima domanda che sorge spontanea è: davvero l’acqua potabile del rubinetto microfiltrata è più pura, e quindi migliore per la salute, di quella imbottigliata minerale come spesso si sente dire?

Il Codacons chiarisce la differenza. L’acqua minerale naturale è regolamentata da una direttiva europea che la definisce come un’acqua di origine sotterranea e protetta, batteriologicamente pura all’origine, con composizione chimica caratteristica e costante, con eventuali proprietà favorevoli alla salute e imbottigliata all’origine in contenitori sicuri e controllati. Inoltre, per essere considerata tale e commercializzata, deve ottenere il riconoscimento da parte del ministero della Salute che la sottopone a una serie di analisi e di studi. Il Codacons poi sottolinea che è tra i prodotti alimentari più controllati.

Diverse le caratteristiche dell’acqua potabile: ha provenienze varie, falde sotterranee o superficiali ma anche laghi, fiumi e pozzi e deve obbligatoriamente essere sottoposta a trattamenti di disinfezione, vietati per l’acqua minerale naturale. Essendo differente, è disciplinata da leggi diverse e sottoposta a controlli non comparabili. La normativa prevede il controllo di alcuni parametri (quali per esempio il clorito, il bromato, ecc.) che non sono previsti per l’acqua minerale, poiché non subisce trattamenti di disinfezione e potabilizzazione.

E le acque trattate, filtrate? Matteo Vitali, docente di Igiene all’università La Sapienza di Roma, nel documento Relazione rischio H2 O potabile trattata smonta l’idea che il filtraggio al rubinetto garantisca un prodotto superiore. Anzi, si legge, che il trattamento dell’acqua comporta un’alterazione della composizione minerale, riducendo l’apporto di nutrienti essenziali, stimato dall’Organizzazione mondiale della sanità, tra l’1 e il 20 per cento. Lo studioso sottolinea che «l’acqua potabile distribuita è già conforme alle normative di sicurezza e contiene minerali essenziali (calcio, magnesio, fluoro, iodio) fondamentali per la salute. In alcuni casi, il processo sostituisce calcio e magnesio con sodio, aumentando il rischio per soggetti ipertesi o diabetici». Ma il documento va oltre. «Il ministero della Salute afferma che l’acqua del rubinetto è già idonea al consumo senza necessità di ulteriori trattamenti. Quelli effettuati da tali apparecchi non garantiscono vantaggi igienici e possono addirittura ridurre la sicurezza microbiologica, eliminando disinfettanti residui e favorendo la proliferazione batterica in acqua conservata».

Allora come mai il boom dei dispositivi filtranti? Un motivo sta nella «pubblicità ingannevole» come afferma Fortuna. «Si dice che l’acqua filtrata sia pura invece è “purificata”, che è un’altra cosa. C’è un uso improprio di termini depurare o purificare. L’acqua del rubinetto è già potabile e sicura, quindi non necessita di depurazione come se fosse contaminata». E aggiunge un altro punto di riflessione: «Il trattamento più utilizzato dai ristoranti, l’osmosi inversa, se non controllato può comportare l’eliminazione dei componenti dell’acqua del rubinetto fino al punto di renderla sterilizzata. E l’acqua sterilizzata non è indicata per il consumo umana, non viene metabolizzata tutta attraverso le urine ma resta parzialmente nel sangue e nelle feci. Non lo dico io ma una relazione scientifica dell’università La Sapienza di Roma che ha fatto uno studio ad hoc sul tema».

Il manager ricorda anche un decreto ministeriale (n. 25 del 7 febbraio 2012) con il quale si stabilisce che l’acqua del rubinetto dopo il processamento deve conservare i requisiti di potabilità previsti dalla legge. «Ma questo nella maggior parte dei casi non avviene perché basta che un solo parametro non venga soddisfatto, come il Ph, che l’acqua non è più potabile». Controlli? «Non pervenuti dall’entrata in vigore del decreto. Inoltre, il contenitore che il ristoratore utilizza viene spesso rabboccato e servito ad altri consumatori con tutte le conseguenze igienico-sanitarie del caso».

C’è poi un problema di impatto economico sul territorio. La filiera produttiva delle acque minerali è un importante motore di sviluppo economico e occupazionale in aree geografiche non industrializzate e periferiche, per lo più montane, creando per ogni posto di lavoro diretto fino a cinque occupati indiretti tra produttori di bottiglie, trasportatori, distributori e negozi.

Alla fin fine si pone un problema di trasparenza. Il cliente spesso ordina acqua frizzante pensando alla minerale e tale la paga ma in realtà beve acqua del rubinetto filtrata. Però, diciamolo, forse si sente a posto con la coscienza ecologista.




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