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Pensioni evaporate

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È una limatura quasi impercettibile, continua, inesorabile. Mese dopo mese la pensione perde un po’ del suo potere di acquisto. Cifre modeste, in apparenza. Ma se si proiettano su un arco di tempo più lungo, questi tagli assumono dimensioni più che rilevanti: un ex lavoratore che nel 2014 incassava un assegno mensile di 3.500 lordi, cioè circa 2.400 euro netti, ha perso in dieci anni l’equivalente di 9.619,74 euro, rivela uno studio della Uil Pensionati. Soldi che avrebbe potuto usare per pagare gli studi ai nipoti, farsi un bel viaggio o comprarsi una moto nuova. E che invece sono stati inghiottiti dallo Stato grazie al famigerato sistema di calcolo della pensione.

L’assegno che supera una certa soglia (circa 2.100 euro lordi, quattro molte il minimo) infatti viene adeguato solo in parte all’andamento dell’inflazione e questa rivalutazione si riduce progressivamente man mano che l’importo della pensione aumenta. I risultati di tale meccanismo sono impressionanti. Secondo i dati dello studio della Uilp, che Panorama è in grado di anticipare, l’assegno mensile di 3.500 lordi del 2014 è salito a 3.825 euro e rotti nel 2024.

Questa crescita è stata ottenuta applicando sull’importo della pensione percentuali di adeguamento all’indice dei prezzi inferiori al 100 per cento, in alcuni anni anche sotto al 50 per cento. Se invece alla pensione di 3.500 euro del 2014 fosse stata riconosciuta una rivalutazione piena, pari all’inflazione, il suo ammontare oggi sarebbe di oltre 4.143 euro. In pratica il nostro pensionato ha perso 318 euro lordi al mese, cioè oltre 4.100 euro all’anno su 13 mensilità. La Uilp ha anche calcolato la perdita totale nell’arco di dieci anni, arrivando a stimarla in 9.619,74 euro.

Naturalmente il danno si riduce se l’importo dell’assegno è più basso. Prendiamo una pensione mensile lorda del 2014 di 2.256 euro. Oggi quell’importo è salito a 2.615 euro al mese grazie a un adeguamento all’inflazione che oscilla, a seconda degli anni, intorno al 75-85 per cento. Se invece avesse avuto una rivalutazione piena, pari al 100 per cento dell’andamento dei prezzi al consumo, la pensione di 2.256 euro oggi ne varrebbe oltre 2.684. In pratica, il pensionato accusa una sforbiciata del potere d’acquisto pari a 888,61 euro lordi all’anno. Su un arco di dieci anni, calcola la Uilp, la perdita cumulata è di 2.067 Euro.

Al sindacato si sono anche cimentati in un esercizio curioso: provare a dare una dimensione concreta al minore incasso del 2024 rispetto al 2014, calcolando quanta merce si poteva acquistare allora e quanta oggi, tenendo conto anche dell’aumento dei prezzi. Se, per esempio, dieci anni fa con una pensione lorda di 2.256 euro (1.738,29 euro netti) si compravano 133,7 chili di carne rossa, oggi con l’assegno rivalutato se ne possono prendere 111 chili, 22,7 in meno rispetto al 2014. Oppure: mentre dieci anni fa 1.738 euro equivalevano a circa 1.448 litri di latte, oggi quella cifra rivalutata con il meccanismo di adeguamento all’inflazione consentirebbe di comprarne 1.112 litri, cioè 336 in meno.

Congegnato per cercare di proteggere i conti dell’Inps, ma spesso utilizzato dello Stato per fare cassa nei momenti di emergenza, il meccanismo di perequazione è da tempo nel mirino dei sindacati, che hanno anche avviato una serie di cause per ottenere la rivalutazione piena delle pensioni. «Con questo nostro studio» commenta Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil Pensionati «abbiamo dimostrato ancora una volta che il taglio della rivalutazione è un danno strutturale e permanente perché si ripercuote in tutti gli anni successivi in cui si incasserà la pensione. Quelli che la ricevono per anni sono stati trattati come un bancomat. È ora di invertire questa Impostazione».

Giusto per dare un’idea di quanto lo Stato risparmi grazie al mancato adeguamento delle pensioni più elevate, la stretta ha portato nelle casse Inps oltre 3,5 miliardi di euro nel 2023 e 6,8 miliardi nel 2024.

Barbagallo sottolinea in particolare che la perdita maggiore riguarda gli anni 2023 e 2024 in cui l’inflazione era molto alta e il metodo di rivalutazione più severo, calcolato non per fasce ma per importi complessivi. Così nel 2023 la perdita annua per la pensione iniziale di 2.256,21 euro è stata di 435,80 euro, nel 2024 di 723,04 euro. Per un assegno con importo iniziale di 3.500 euro, la perdita nel 2023 e nel 2024 è stata rispettivamente di 200,33 e di 317,92 euro. «Non a caso» aggiunge il leader della Uilp, «noi abbiamo fatto ricorso contro il taglio della rivalutazione del 2023. In questi giorni si è discusso alla Corte costituzionale un ricorso analogo. Siamo in attesa della sentenza».

La Consulta dovrà decidere in sostanza sulla legittimità della norma che dal 2023 prevede una riduzione della perequazione previdenziale a partire da chi riceve una cifra superiore a quattro volte la pensione minima.

La Uilp chiede dunque che il governo riapra un tavolo di confronto sul potere d’acquisto dei trattamenti di quiescenza. «Quelli italiani sono poi i più tassati d’Europa. Noi chiediamo poche azioni concrete: la piena rivalutazione di tutte le pensioni, il taglio delle tasse anche per i pensionati, l’ampliamento della platea dei beneficiari della quattordicesima e l’incremento dell’importo per chi già la riceve. Il governo però non ci convoca e anche quando sembra che ci ascolti, in realtà non ci sente».




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