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74.90.99, il limbo dei codici ATECO

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Che cosa hanno in comune un consulente di apiterapia con un perito di gioielli antichi? Sulla carta e nella pratica proprio un bel niente. Eppure vengono identificati dal medesimo codice Ateco, acronimo di ATtività ECOnomiche, ovvero la classificazione adottata dall’Istat per fini statistici, fiscali e contributivi. Il riferimento in questione è il (famigerato, per gli addetti ai lavori) 74.90.99, la cui denominazione ufficiale risulta essere «altre attività professionali non classificate altrove».

Stiamo parlando di una «terra di mezzo» in cui convivono psicologi del benessere e sommelier, professionisti olistici e organizzatori di eventi. «Sotto questo codice vengono identificate quelle attività che non hanno avuto una classificazione con un codice Ateco specifico. Per questo convivono lavori del tutto diversi» spiega Franco Cocozza, commercialista e revisore legale.

Per quanto questa classificazione possa sembrare vantaggiosa per la sua flessibilità, presenta svariate criticità. Esattamente come ciclicamente viene sollevato da interrogazioni parlamentari sul tema, e come denunciano i diretti interessati. Esemplare la sintesi effettuata dalla fiorentina Lisa Tomi, grande animatrice dei gruppi online sul tema: «Da anni organizzo eventi per bambini. All’inizio era una cosa piccola, ma con gli anni l’attività è cresciuta e sono arrivata al limite del regime forfettario. E per questo mi tocca pagare una cifra assurda di imposte, perché non ho nessuno che mi tuteli».

La questione è tecnica, ma in fin dei conti semplice: nel regime forfettario al codice Ateco 74.90.99 è associato un coefficiente di redditività del 78 per cento. Ciò significa che le imposte vengono calcolate su una percentuale elevata del fatturato, indipendentemente dalle spese effettivamente sostenute. Ma non è tutto. Perché questa ambiguità nella definizione delle attività non giova a nessuno: l’uso di un codice generico rende meno chiara la natura specifica dell’attività svolta, sia per le autorità fiscali sia per i clienti, e spesso non permette di accedere ad agevolazioni (magari mirate su codici che inquadrano professioni sulla carta simili, ma meglio tutelate) o di evitare sanzioni legate a errori di Identificazione.

I problemi poi possono insorgere anche su altri piani. Queste attività professionali non regolamentate, che sommate producono fatturati per milioni di euro, non hanno né un albo né un ordine professionale. E, in mancanza di strumenti definiti, si ritrovano facilmente (e non di rado felicemente) esposte alla scarsa regolamentazione del mercato sia in termini di contratti-tipo sia in termini di tariffe minime. In pratica, non esiste nessuno che controlli nello specifico le tariffe applicate, o i contratti praticati.

Ma non è tutto. «Il codice Ateco è funzionale per l’inquadramento previdenziale. Per questo è necessario, per rispettare gli obblighi di legge, iscriversi alla cassa professionale di riferimento» continua Cocozza. «Proprio come fanno, per esempio, gli avvocati o gli architetti. In mancanza di questo, ci si deve rivolgere all’Inps e iscriversi, se l’attività non rientra tra quelle di impresa, alla gestione separata. Il codice Ateco» puntualizza ancora il commercialista «definisce poi il livello di rischio, ovvero la classificazione operata da Inail rispetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro, e gli adempimenti necessari, nonché le misure di prevenzione e di protezione da mettere in atto. I livelli di rischio nel nostro Paese sono tre: basso, medio o alto. E tutti quelli che rientrano nel limbo del 74.90.99 appartengono al primo». Indipendentemente se si faccia intermediazione aziendale o scavi archeologici.

Una contraddizione che secondo molti esperti potrebbe avere le ore contate. Dal 1° aprile infatti la questione dovrebbe risolversi (o complicarsi ancora di più) con l’introduzione della nuova classificazione Ateco 2025. Interessato dalle novità sarà anche il 74.90.99 che si moltiplicherà in diverse piccolo sotto-unità. Ancora insufficienti, secondo un grande numero di tecnici.

Di certo esultano i sommelier, che verranno indicati dal fiammante codice 74.99.41. Ad annunciarlo l’Associazione della sommellerie professionale italiana (Aspi) che per l’iniziativa ha lavorato in collaborazione con il Comitato Istat. «Si tratta» nota il presidente Giuseppe Vaccarini «di un passo importante per la categoria, in primo luogo perché il riconoscimento ufficiale garantisce una classificazione chiara della professione, permettendo ai lavoratori del settore di accedere a incentivi e agevolazioni fiscali riservati alle attività economiche già affermate. Inoltre, contribuisce a rafforzare l’immagine pubblica e istituzionale della sommellerie, aumentando la credibilità di chi opera in questo ambito».

Diventa naturale chiedersi se questa nuova direttiva – le cui comunicazioni sono obbligatorie - sarà la fine di tutto. O semplicemente una (complessa) moltiplicazione di gironi e gironi infernali nel limbo del 74.90.99.




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