Siamo fatti di stelle
Pochi indizi, molte ipotesi, una sola domanda: come è nata la vita sulla Terra? Gli Sherlock Holmes che per anni si sono spremuti le meningi su questo mistero partivano da un dato certo: il Dna, ossia il codice genetico, è la base della vita, cioè contiene tutte le informazioni necessarie per sintetizzare le proteine che compongono ogni organismo. Ma in che modo, e dove, le prime molecole si sono assemblate per formare, più di 3,5 miliardi di anni fa, agglomerati di sempre maggiore complessità? Le ipotesi erano molte e le certezze poche. Andando in ordine cronologico, nel 1953 il biochimico Stanley Miller aveva dimostrato che una miscela di metano, ammoniaca e vapore acqueo sottoposta a scariche elettriche dà luogo ad aminoacidi, unità strutturali primarie delle proteine. Forse, ipotizzarono in molti, siccome la miscela di gas simulava la composizione della Terra ai suoi inizi, e le scariche elettriche i fulmini, la vita sulla Terra era nata in quel modo. Ma altri ipotizzarono che aminoacidi o addirittura frammenti di Dna potessero essere arrivati dallo spazio trasportati da meteoriti o asteroidi. I vulcani avrebbero fatto il resto, dato che un gruppo di ricerca dello Scripps Research Institute in California aveva mostrato che il solfuro di carbonile, un gas emesso durante la fuoriuscita di lava e presente sulla Terra primordiale oltre tre miliardi di anni fa, favorisce l’aggregazione di aminoacidi e la formazione di proteine semplici. E poi c’era l’ipotesi della capacità della materia di autorganizzarsi in forme complesse, quella dell’origine dall’Rna, un’altra macromolecola cugina del Dna, e molte altre ipotesi ancora.
Ora, per la prima volta, una di queste teorie, quella delle molecole organiche provenienti dallo spazio, appare vincente grazie alla scoperta che frammenti dell’asteroide Bennu, prelevati e spediti sulla Terra dalla sonda spaziale Osiris-Rex della Nasa, contengono tutte e cinque le basi che compongono il Dna e 14 dei 20 aminoacidi che si trovano in tutte le proteine conosciute. Non era mai accaduto. Nel 2023 avevano scoperto che un campione prelevato dalla roccia spaziale Ryugu dalla navicella spaziale Hayabusa 2 conteneva uracile, base azotata dell’Rna, ma mancava tutto il resto delle basi. Insomma, ora l’ipotesi della vita venuta dallo spazio guadagna nettamente terreno sulle altre, divenendo molto plausibile. A questo studio, pubblicato su Nature da un folto gruppo di ricercatori della Nasa e di altre strutture di ricerca internazionali, se ne affianca un altro secondo il quale i frammenti di Bennu, asteroide dal diametro di 500 metri e massa di 80 tonnellate distante dalla Terra 330 milioni di chilometri, sono anche ricchi di sali. Questi ultimi si sarebbero formati dopo l’evaporazione di pozze di acqua salata, le incubatrici delle molecole organiche. In buona sostanza, non solo adesso sappiamo che asteroidi come Bennu potrebbero aver seminato i mattoni della vita sulla Terra e su altri pianeti adatti alla vita, ma anche che quegli stessi mattoni si sarebbero formati negli asteroidi stessi. Infatti, uno dei partecipanti allo studio, Frank Brenker, del Goethe Institut di Francoforte, dice: «Al di là del fatto che questa scoperta rende plausibile l’ipotesi che i precursori delle molecole della vita vengano dallo spazio, noi ora sappiamo che un asteroide possedeva i mattoni del Dna, acqua, ed energia tale da tenere l’acqua allo stato liquido. Ma allora altri corpi celesti, come Encelado, il satellite di Saturno, o come il pianeta nano Cerere, che hanno mantenuto proprio le condizioni dell’antica Bennu, possiedono l’habitat per forme semplici di vita. Trovarle dovrebbe essere l’obiettivo di future missioni spaziali».
Non sappiamo come dalle prime molecole organiche si sia arrivati alle cellule. La teoria predominante è che molecole di Rna restarono intrappolate dentro vescicole, cioè globuli sferici composti da acidi grassi formatisi in maniera spontanea. A quel punto, come suggeriscono esperimenti in laboratorio, sarebbe scattata un’autentica lotta per la sopravvivenza tra queste cellule primordiali. Quelle con un Dna che si replicava più velocemente si sarebbero espanse fino a catturare il materiale delle cellule circostanti con un Rna più lento. Le cellule vincenti si sarebbero ingrossate e duplicate e, con il sommarsi delle mutazioni in milioni di anni, l’Rna si sarebbe diversificato e la selezione naturale avrebbe premiato le cellule con un Rna più efficiente. Finché il suo ruolo dentro la cellula sarebbe divenuto sempre più sofisticato. Quel che è certo è che i fossili più antichi, datati circa 3,5 miliardi di anni, testimoniano l’esistenza, già allora, di piccole cellule simili agli attuali batteri. E sono giunti fino a noi residui delle attività di vaste colonie di organismi pluricellulari che risalgono a 100 milioni di anni dopo: le stromatoliti. Le cellule si sarebbero quindi organizzate in colonie per poi specializzarsi nelle diverse funzioni in modo da avere più probabilità di sopravvivere. Quelle dotate di nucleo e organuli sarebbero arrivate solo dopo. E sarebbe stato un passaggio cruciale, tale da conferire alla vita una notevole complessità. La teoria prevalente su come ciò accadde è suggestiva: una cellula avrebbe fagocitato un’altra cellula che avrebbe continuato a vivere in simbiosi al suo interno, modificandosi nel tempo. Quando emersero le diverse organizzazioni del corpo sarebbe stato l’inizio dell’evoluzione che portò all’essere più straordinario di tutti: l’Homo sapiens. L’essere che con la domanda «com’è nata la vita?» ha creato il mistero.