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Март
2024

Abruzzo e Sardegna, vincere e perdere: l’Italia di Meloni é una democrazia. E Marsilio è il primato della politica

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Meloni Marsilio

Ora che il centrodestra ha vinto in Abruzzo, dopo avere perso in Sardegna – ho molto apprezzato l’olimpicità della Meloni, non l’ha perduta in ambedue i casi – ci sono alcune cose da mettere a mente, per il futuro; un po’ fuori dal seminato della voce pubblica, che oggi non é l’imperturbabile “gente”, ma questi […]

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Meloni Marsilio

Ora che il centrodestra ha vinto in Abruzzo, dopo avere perso in Sardegna – ho molto apprezzato l’olimpicità della Meloni, non l’ha perduta in ambedue i casi – ci sono alcune cose da mettere a mente, per il futuro; un po’ fuori dal seminato della voce pubblica, che oggi non é l’imperturbabile “gente”, ma questi mediatici commenti da otto volante, che fanno salire e precipitevolissimevolmente scendere, nell’acquario della politica politicienne, partiti, schieramenti, leader. E vabbè, dico la mia.

L’invincibilità politica non esiste, si vince a turno

La prima: l’invincibilità in politica non esiste. Non esiste soprattutto nelle democrazie stabilizzate, qual é l’Italia. E non é da ricercare. Di tutti gli ingredienti che la scienza politica associa a uno Stato di diritto, quelli decisivi non sono le elezioni, né il numero dei partiti, ma che si possa perdere: che si perda, a turno; e che si possa governare, ora l’uno, ora l’altro, attraverso consultazioni ravvicinate. É l’alternanza di governo che fa di una Nazione, un Paese “civile”. Nella Russia di Putin si vota, ma non c’è alternanza di governo. In Polonia, si vota e si perde o vince, come si é visto. Ma a Mosca vince sempre Putin: nulla cambia e l’opposizione viene liquidata anche fisicamente: vedi persecuzione e morte di Navalny; a Varsavia, bollata per anni dalla sinistra come democratura, l’anno scorso ha vinto Donald Tusk che era all’opposizione: ora é primo ministro. Per dire. Torniamo a casa, a Cagliari e Pescara, per due settimane, sangue e arena del ceto politico.

Bipolarismo regolatore: opposizione è potere

La seconda riflessione: le vittorie sono legittimate dalle sconfitte. Meloni governa e governa da democratica; secondo la Costituzione. E sta alla regola che in democrazia, si vince e si perde. E si governa o si va all’opposizione secondo un’alternanza circolare o, per dirla come piace ad alcuni, sferica; cioè imprevista o imprevedibile su un arco di tempo non breve. È il bipolarismo, maggiore lascito del centrodestra alla nostra Repubblica, per anni aggettivato con becero, rozzo e altre gentilezze: ora si capisce che é il vero regolatore della nostro sistema politico. Così l’opposizione non é inferno, ma luogo di riflessione e preparazione di sé; banalmente: di astensione dal governo, cioè da risorse e postazioni (e incombenti doveri, adempimenti, impicci), non dal potere; perché, come si sa, nel giro di quelli che sanno, l’opposizione lo è: l’opposizione ha poteri e quindi potere, eccome; e laddove, non c’é governo – ma tanti poteri di contrasto e dialogo, di negoziato e condizionamento, et cetera – ci si allena con esercizi di nuova ascesa all’altare, dopo che si é finiti nella polvere.

Il “manuale  Meloni”

Il “manuale Meloni” lo insegna: gli esecutivi a guida tecnica, di quasi tutti, non “scelti” dagli elettori, modello Draghi o Monti, lo conferma; èun deficit di democrazia, terminato il quale, se sei stato dentro, paghi pegno; bello grosso: la pellicola è recente e l’abbiamo vista tutti. Quindi, dopo che l’ex, unica, opposizione è andata al governo, viviamo in una democrazia compiuta. E poiché, nel tempo politico meloniano, si sale e si scende, come aurea regola vuole, vanno in archivio tutti i film mentali di autoritarismo, rinato fascismo, poca libertà di stampa, repressione delle piazze; con i quali si balocca la sinistra: che dovrebbe avere invece un orizzonte, non concentrarsi sulle minutaglie del presentismo, dei qualificativi da mettere accanto al suo campo: largo, piccolo, medio, stretto, lungo; dopo la vittoria in Abruzzo, anche “di là” – prendi un columnist finissimo e brutale come Alex De Angelis – buttano sacchi di sale sulla ferita. Ci vorranno anni, di studi e digiuni, perché l’opposizione possa provarci; ma la sua dritta, quella è. Come lo fu per Giorgia.

Il valore politico delle elezioni locali: non mescolare

Terzo: per favore non mescolate l’immiscibile. Le elezioni sui territori hanno un grande valore politico, solo per i giornali, non per chi li legge, i lettori-elettori: tirare i risultati di qua o di là è propaganda; anche un po’ infantile. E non condivido neppure che a selezionare il candidato di città e regioni debbano essere in prima persona Salvini, Tajani o la premier che fanno un altro, più impegnativo mestiere: dovrebbero essere sherpa e attaché di livello a preparare il sacro pasto e portarlo ai leader. Il che presuppone il centrodestra abbia sul territorio una classe dirigente di coalizione, esperta, solidale complice, che fa da sé, anche sbagliando: nessuno é esente dallo sbagliare. Vasto programma, direte; ben comprendo, ma lì bisogna arrivare: alla specializzazione territoriale, oltre il tutti fanno tutto. Cioè: conta ben scegliere i candidati; e per tempo: lavorandoci un anno e sfornando il candidato sei mesi prima; almeno. Poco altro, credetemi.

Mandati amministratori: il secondo sì, il terzo no

Quarta notazione: la regola del confermare l’uscente al primo mandato, va ripristinata. Oltre i dosaggi interni; in mancanza, non c’è coalizione. La regola fu rotta, senza ragione e stupidamente, in Sicilia, non ricandidando il governatore uscente Musumeci, primo in tutti i sondaggi: imbattibile. Responsabile: Matteo Salvini, tirato per la giacca dai suoi; il che poi ha generato la contro- regola in Sardegna. Un grave errore politico. Salvo eccezioni, chi ha fatto il primo mandato ha il diritto di fare il secondo. Con il vantaggio che é già in corsa da anni: non ha bisogno di farsi conoscere. E per la stessa ragione non oltre il secondo mandato, mia opinione. Il terzo ? Lascerei perdere: sennò non cresce nessuna classe dirigente. In una democrazia dell’alternanza, di non uniformità tra centro e periferia, di diversificazione tra elezioni politiche ed europee da regionali e locali, cambiare si può e si deve. Chi ha fatto il governatore per dieci anni, faccia altro, porti la sua esperienza nelle istituzioni; non cade il mondo, se non per il codazzo di ceto attaché, interessato e per lo più trasformista. Io la penso così. Mia personalissima idea. Infine: le persone contano; Marsilio ha qualche anno in meno di D’ Amico (e qualcuno più di Truzzu) ma viene da più lontano. Molto. E sa come “funziona”. Il che spiega tutto. Quando si dice il primato della politica: ecco.

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