Nelle lunghe ore trascorse da Moussa Sangare al comando provinciale dei carabinieri di Bergamo, dove è arrivato nella mattina del 29 agosto come possibile testimone per uscirne da reo confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni, ci sono stati momenti di debolezza e lacrime. L’audizione è stata “interrotta in più momenti, lui chiedeva di sospendere perché era provato, si è messo a piangere”, ha riferito in conferenza stampa la procuratrice di Bergamo, Maria Cristina Rota. Solo al termine dell’interrogatorio Sangare si sarebbe detto “dispiaciuto per quello che ho compiuto”. Cioè un omicidio senza apparente motivo. “Non c’è nessun movente religioso o di odio razziale o di terrorismo”.
Moussa Sangare non avrebbe moventi religiosi per l’omicidio di Sharon
Il 31enne “non risulta appartenente ad alcun movimento religioso. Il movente non c’è”, ha detto Rota. Agli inquirenti non risulta nemmeno che il 31enne, “frequentatore della piazza di Terno” conoscesse Sharon o avesse mai avuto contatti con lei. La vittima “poteva essere la signora Verzeni o chiunque transitava”, ha osservato la procuratrice. A muovere Sangare – a quanto lui stesso ha confessato – solo “l’impulso di accoltellare”. Per assecondarlo, la sera del 29 luglio l’uomo – come ha raccontato agli inquirenti – è uscito da casa sua a Suisio, a pochi chilometri da Terno d’Isola, armato di quattro coltelli. Motivo per cui la procura gli contesta l’aggravante della premeditazione. A chi le chiedeva delle condizioni psichiche del 31enne, il magistrato ha risposto: “Non siamo psichiatri”.
Da escludere al momento problemi di dipendenze. Durante le numerose ore in caserma “non si è mai notato un atteggiamento che facesse supporre che il suo comportamento fosse alterato da alcolici o altre sostanze”. Lo conferma il fatto che “fino a ora le dichiarazioni rese” da Sangare “hanno avuto riscontri rilevantissimi, portando al recupero dell’arma e dell’abbigliamento”. Resta da verificare l’episodio delle minacce la sera dell’omicidio a due ragazzini, che gli inquirenti sollecitano a presentarsi in caserma. “Noi abbiamo l’onere di riscontrare il più possibile le dichiarazioni rese. Vogliamo fare la quadratura del cerchio e raccogliere ogni ulteriore elemento che ci porti a riscontrare che l’uomo è attendibile e abbia lucidità”, ha chiarito Rota.
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