Ma ve li ricordate Melandri e Franceschini? Piccolo promemoria per gli amanti del tiro al Sangiuliano
L’effimera memoria del pesce rosso affligge la sinistra quando c’è da andare addosso al governo: prima del governo Meloni l’Italia era Disneyland e al posto del ministro Sangiuliano sedevano personalità brillantissime che hanno prodotto risultati memorabili. “Voi avete governato meravigliosamente, avete tutti premi Nobel nelle segreterie”, ha ironizzato Daniele Capezzone al Tg4 con la deputata dem Bonafè: “Il Pd è il regno della meritocrazia? Ti devo fare l’elenco delle amichette dei ministri del Partito democratico? Iniziamo qui e finiamo a mezzanotte”.
“Quoque tu”, Giovanna contro Sangiuliano?
Al di là delle strumentalizzazioni politiche, nello sciacallesco sport di questi giorni, il “tiro al Sangiuliano”, stupisce che si sia avventurata persino Giovanna Melandri. Proprio lei che sulla prima poltrona del Collegio romano è stata seduta dal 1996 al 2001 con risultati politicamente disastrosi. Chi dice il contrario si vada a rileggere la legge Melandri sullo sport. La ministra veltroniana scivolò in una vicenda di basso gossip non meno pruriginosa del caso Boccia-Sangiuliano. Fu infatti immortalata dalle riviste scandalistiche sul Lungotevere con il compositore Nicola Piovani: mancava solo la colonna sonora de “La vita è bella” a completare il quadretto romantico. Davanti alle corna pubbliche, il partner della Melandri commentò con un memorabile: “Siamo giovani, siamo aperti, io sono di sinistra”.
Perché loro sono di sinistra, s’indignano solo per le corna degli altri. Si potrebbe scavare sulle vicende di altri ministri alla Cultura, protagonisti di vicende boccaccesche non sempre finite sui giornali, perché “godere di buona stampa” significa spesso venire ignorati dalla stampa. Soprattutto in situazioni imbarazzanti. Basta guardare come è stata ignorata dai media la vicenda giudiziaria di Sara Giudice e Nello Trocchia. Ma ragioniamo sulla base di ciò che deve qualificare l’attività di un ministro. Non chi invita a cena, ma i risultati. Sangiuliano, al di fuori dalle vicende private e personali, vince su tutta la linea con i suoi predecessori. Recenti e meno recenti.
Qualche esempio? Prendiamo il ministro alla Cultura più coccolato dai giornali degli ultimi anni. Quel Massimo Bray, ricoperto di colate di miele in tutto il periodo da ministro. Indimenticabile l’intervista adorante di Fabio Fazio. Eppure, alla fine del suo mandato, uno dei suoi più ferventi ammiratori, il docente rosso Tomaso Montanari sul Fatto quotidiano scriveva: “Bray avrebbe potuto osare di più. Ogni volta che annunciava qualche cambiamento radicale – per esempio nella struttura del ministero-si sollevava un coro di «non si può!». Un capo di gabinetto prudente fino al letargo, un segretario generale garante dell’immobilismo assoluto, una pletora di direttori generali preoccupati solo della loro poltrona: tutto ha congiurato nell’inibire ogni tentativo di spiccare il volo”. Una maniera garbata per dire che Bray non aveva cavato un ragno dal buco. Non è andata molto meglio a Bray quando successivamente è andato a fare l’assessore alla Cultura alla Regione Puglia. Anche in quell’occasione, come assessore di Emiliano non è pervenuto. Ma Bray è bravo, bravissimo. Non contano i risultati, conta solo ciò che scrive la stampa che conta.
Alberto Bonisoli, ministro della Cultura a sua insaputa
Altro giro, altra corsa. Era forse meglio di Sangiuliano il “ministro a sua insaputa” Alberto Bonisoli? La definizione esilarante era di Maurizio Crippa sul Foglio. “Bonisoli non ha competenza né visione, ma deve disperatamente dare un contentino pseudo pauperista al suo partito di riferimento, che annaspa ovunque”, spiegava il quotidiano. Qualcuno si domanderà chi fosse Bonisoli: ministro in quota M5s del primo governo Conte, è durato meno di undici mesi. Dulcis in fundo, Dario Franceschini. Sui gossip relativi al “signor Di Biase” ha infierito esaurientemente Dagospia, dei risultati politici, basterebbe la definizione che diede di lui il primo che lo ha indicato come ministro della Cultura, Matteo Renzi: “Un vicedisastro”.
A questo si aggiungano le firme di Franceschini apposte sotto decisioni che sono costate milioni e milioni di euro ai cittadini italiani. Finanziamenti milionari a film di “interesse culturale” (3 milioni di euro) come la pellicola della giovane regista Ginevra Elkann. Oppure, lo spreco senza precedenti per la realizzazione di Itsart, la piattaforma che doveva essere la Netflix italiana e che ha lasciato una voragine enorme nei conti ministeriali. Un flop da 7 milioni e mezzo di euro, quelli sì, pagati dagli italiani. Chissà a quanti biglietti del treno Roma-Pompei corrispondono…
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