Gianluigi Quinzi: “Non ho rimpianti. Tornare in campo per l’ultima volta? Con Sinner sul Centre Court”
Il Sinner ante litteram. Il predestinato padovano che aveva spruzzato di tricolore il sacro prato di Wimbledon, il mancino italico che avrebbe riportato il tennis azzurro ai fasti degli anni ’70. Tutto sfumato, il n.°1 junior, il titolo Slam, la Davis, tutto risoltosi in appena 2 Challenger e la posizione n.°149 del ranking. Il possibile bagno di folla per l’enfant prodige divenuto icona si è trasformato del solito riecheggio italiano del talento sprecato. Ma c’è sempre più di quel che vediamo e Gianluigi Quinzi ha provato a raccontarcelo affidandosi alla penna di Riccardo Crivelli della Gazzetta dello Sport.
In quel pomeriggio londinese di undici anni fa, Gianluca da Cittadella ci illuse che il più forte del domani potesse avere il tricolore stampato sul pezzo: “Lo so, eppure guardando indietro a quei momenti, mi rendo conto che non sarebbe stato possibile. Perché non avevo costruito le condizioni, non solo per riuscirci, ma anche per provarci. Quando ero juniores, per me contava soltanto vincere, e questa era la filosofia che tutti quelli che avevo intorno mi avevano inculcato: a me interessava portare a casa più partite e più trofei possibili, senza pensare a migliorare tecnicamente. E quando sono uscito dalla comfort zone affrontando il circuito maggiore, non ero attrezzato e non potevo più colmare il gap. Guardate proprio Sinner, che è un orgoglio nazionale non solo per lo sport: quando arrivò a Bordighera a 13 anni, coach Piatti gli insegnò subito che il tennis è al 50 per cento vittoria, perché vincere rimane una benzina fondamentale, e al 50 per cento volontà di imparare e migliorare. Per me quelle percentuali sono sempre state 90 e 10“.
Ora però essendo passato dall’altra parte della barricata, alcune situazioni le comprende in maniera differente: “Ma adesso che faccio l’allenatore e sono a contatto soprattutto con i ragazzini, capisco che tante volte quello dei genitori con lo sport dei figli è un rapporto malato. Magari perdono un paio di partite di fila e subito papà e mamma chiedono di cambiare sistema di allenamento, minacciano di portarli da un’altra parte, non accettano che ciascuno abbia i suoi tempi di maturazione, vogliono il tutto e subito. Quindi, se devo dare una risposta complessiva, ammetto che le aspettative dei genitori spesso sono un ostacolo alla crescita dei figli“.
Gianluigi è rimasto però legato al tennis, nelle vesti però di coach, una veste che può essere assolutamente decisiva: “Fare il coach è un ruolo delicatissimo, non si allena e basta. Guardate Sinner: Vagnozzi e Cahill sono la sua seconda famiglia, lo hanno protetto nei momenti di difficoltà. Purtroppo, vedo ragazzi che a 18 anni sono già sfiancati emotivamente dal tennis senza aver ancora ottenuto nulla. Perciò cerco di non fargli commettere i miei stessi errori, che poi errori forse non erano, piuttosto scelte sbagliate. Dunque la mia filosofia è semplice: la vittoria in sé non conta nulla se non è accompagnata da un lavoro su se stessi di crescita personale e tecnica. E poi non devono mai smettere di divertirsi. Se non ti diverti più, è il momento di fare altro“.
L’abbandonare la propria carriera professionale nel pieno di quello che dovrebbe coincidere con la propria maturità umana non è necessariamente portatrice di rimorsi ma anzi una grandissima testimonianza di umiltà: “Non ho rimpianti, se è questo che intende: se li avessi, sarei ancora a cercare punti nel sottobosco dei Futures e dei Challenger“. Comprendere che una porta che si chiude non significhi la fine di tutto ma l’esatto opposto, ossia lo spalancarsi di una nuova speranza, di una nuova avventura. La consapevolezza che ci si può reinventare senza per questo dover rinunciare a ciò che amiamo, il più dolce dei sapori della felicità: “Semplicemente, un giorno mi sono svegliato e ho capito che oltre a quello che avevo già dato non potevo più andare. E ho cambiato strada. Magari lo Slam che non ho vinto da giocatore lo conquisterò da coach, e forse sarebbe una soddisfazione ancora maggiore“. E Quinzi non ha dubbi su quale sarebbero ad oggi il palcoscenico e l’avversario ideale: “Se dovessi giocare di nuovo? Sicuramente vorrei farlo sul Centrale di Wimbledon e sicuramente contro Sinner, il più forte del mondo. Anche se mi prenderebbe a pallate“.