La nuova vita tennistica Berrettini: “Ho imparato a fare delle rinunce. Basta ansia di dover dimostrare”
Sono trascorsi circa tre anni e mezzo dalla prima volta di un italiano in finale a Wimbledon; in quell’undici luglio 2021 Matteo Berrettini mancava l’impresa, invero ardua, di superare Novak Djokovic, ma si copriva di gloria per un traguardo in precedenza solo sfiorato da un atleta azzurro. Quattro set splendidi, in calando di fronte al migliore di tutti ma con la sensazione che altre occasioni si sarebbero ripresentate, altri giri di giostra con in palio allori importanti, di quelli che riempiono le bacheche delle leggende di questo sport.
Le opportunità allora vagheggiate sono ad oggi ancora di là da venire; dopo la disillusione di Wimbledon 2022, quando alla vigilia del primo turno Matteo dovette rinunciare perché positivo al COVID-19 e il suo sostituto in tabellone, il cileno Cristian Garin – non fenomenale sull’erba – raggiunse i quarti di finale, la sorte ha più volte girato le spalle al ragazzone romano, accorciandone la stagione allora in corso e soprattutto la successiva. Berrettini è ritornato più volte e nel 2024 ha lavorato duramente per poter entrare nel seeding dello Slam di Melbourne.
L’obiettivo di mettersi al riparo da sorteggi complicati come quello di Londra 2024, quando fu estratto in abbinata a Sinner già al secondo turno, è sfumato. Non è il primo bersaglio che evapora nella carriera di Matteo, ma proprio per questo l’ex numero sei del ranking non fa una piega; a ben vedere non era la cosa più importante per lui. Molto più significativa è la sensazione vecchia e nuova di ritrovarsi fianco a fianco con tutti gli altri sotto lo striscione che recita “Partenza”.
Sensazione vecchia, perché riposta nelle stagioni della crescita e dell’esplosione a livello mondiale a suon di battute e dritti potentissimi, e nuova. Nuova perché il riassaporarla dopo aver stretto i denti in allenamento e in infermeria, dopo aver sopportato critiche al fisico forte ma fragile e chiacchiere da bar e soprattutto da social (con tutto il rispetto che i suddetti spazi dell’etere sanno negare con noncuranza e crudeltà alle loro vittime) alla sua attività fuori dal campo e alle scelte nella vita privata, dà ora una sensazione particolarmente dolce.
Jannik Sinner è ovviamente la stella e il numero uno del movimento tennistico italiano, ma Berrettini, più grande dell’altoatesino di cinque anni, è l’apripista, il ragazzo che è arrivato in alto prima di tutti e che ha saputo sempre rimotivarsi durante la caduta, anzi, le cadute. Berrettini saggio, ammirato da tutti a partire proprio da Jannik e una delle immagini più belle del 2024, peraltro colmo di trionfi per il tennis nostrano, è proprio quella dei due azzurri che guidano la squadra azzurra alla seconda Coppa Davis consecutiva.
Uno ispira l’altro, uno difende l’altro; così Matteo si esprime all’inviato di Repubblica Massimo Calandri: “Credo in Jannik. Come dal primo giorno. Conosco da tanto tempo lui e la sua squadra. Sono sicuro si tratti di un errore”. Non ha dubbi sulla serietà del suo compagno di Davis (e di doppio). Poi però torna a parlare di sé e mentre lo fa par di ascoltare proprio Sinner e la sua fame di miglioramenti: “Col team ci siamo concentrati su tanti piccoli particolari che si potevano aggiustare. Intanto, la risposta al servizio: una serie di accorgimenti tecnici per cercare di essere più reattivo. Un metodo che ho già applicato a Malaga in Davis, e si sono visti i risultati. Poi, è vero: il servizio”.
Il servizio, sì anche quello si può migliorare; anche chi è conosciuto nell’ambiente come The Hammer ritiene di dover lavorare sul colpo di inizio gioco: “Deve essere imprevedibile. E poi il dritto e il rovescio, e poi devo scendere a rete di più e meglio”. Chissà come andrà, ma ascoltare simili propositi da chi in passato ha anche riflettuto sull’eventualità del ritiro è una melodia che speriamo sia uno dei dischi caldi della stagione nascente.
Cameron Norrie è il nome del suo primo avversario; un solo precedente, sull’amata (per Matteo) erba del Queen’s Club, la domenica della finale: 6-3 nel set decisivo e coppa nelle mani dell’italiano. Quel match oggi non conta nulla, ovviamente – troppa acqua è passata sotto i ponti – così come conta poco la differenza di classifica (35 e 48). Il vincente dei due troverà presumibilmente Holger Rune, che però deve prima fare i conti con il cinese Zhang. La seconda testa di serie che potrebbe incontrare chi avanza sarebbe Hubert Hurkacz, la terza proprio Sinner, che a sua volta ha Cobolli sul percorso.
Berretto però non ha fretta e non vola con la fantasia. Matteo il saggio, che non intende bruciarsi: “Qui a Melbourne arrivo pronto e carico. Non succedeva da un po’ (l’anno scorso aveva addirittura saltato la trasferta in Australia, ndr). Negli ultimi due anni è stata sempre una rincorsa, un cercare di ritornare. Fermarsi, ripartire, fermarsi. Non è stato facile. […] Questa volta ho potuto lavorare molto al mio obiettivo. Ma con un approccio diverso. Guardando in avanti, lontano. Senza più farmi prendere dall’ansia di dimostrare subito qualcosa, di fare punti, di risalire alla svelta la classifica. […] la parola d’ordine è diventata: pazienza. Non facciamoci più prendere dall’ossessione della programmazione, dalla fretta”.
Matteo il saggio, che non intende perdersi: “C’è una grande scelta di tornei, mi piacciono tutti: mettetevi nei panni di un giocatore che ha avuto tanti problemi e vorrebbe spaccare il mondo. Stop. Non facciamoci ingolosire dalle occasioni. Un passo alla volta. Dovremo essere bravi a gestire ogni cosa: i programmi di carico e scarico, soprattutto. Imparando a rinunciare qualcosa. E, attenzione: la vita non è solo prendere a racchettate una pallina”.
Il tennis però sa regalare grandi emozioni, come quelle provate in Davia a novembre: “Lì ho raggiunto uno dei punti più alti della mia carriera. Il successo di Malaga, la festa, gli abbracci, la coppa, la gioia e la consapevolezza di far parte di un gruppo pazzesco: roba che ti dà una spinta incredibile. Però ti toglie anche molto”. Il calendario è ancora più duro con la competizione a squadre, ma… “Ma non rinuncio all’azzurro. […] Rinunciare, quando è il caso. Vincenzo Santopadre mi ha insegnato a essere allenatore di me stesso. Con pazienza, e fiducia. Come nella vita”.
Alla Davis non si rinuncia: e poi il 29 gennaio, in fondo a Melbourne, c’è il Quirinale. “Il presidente Mattarella. Non vedo l’ora. Spero tocchi a me parlare. Forse mi verrà da ridere per l’emozione. Mi preparerò il discorso? Non lo so”. Certo, c’è Jan, ma Matteo ha l’uniforme colma delle medaglie che ne celebrano la coraggio e determinazione, e non sarebbe fuori posto. E poi, con quel sorriso assassino…