Il caso Djokovic-Jones divide l’Australia: mancanza di rispetto o tempesta in un bicchiere d’acqua?
“Il caso Djokovic/ Tony Jones è stato trattato come una specie di caso internazionale ma la verità è che è stata una vicenda anche più insignificante della classica tempesta in un bicchiere d’acqua”: con queste sagge parole il giornalista Greg Baum di ‘The Age’ ha provato a rimettere un po’ d’ordine in una storia delicata, ma forse non così seria. La famigerata battuta – non riuscita – in diretta del giornalista di Channel 9 (che in passato aveva già commesso altri scivoloni in diretta, molto più gravi di questo) ha scatenato la reazione di Djokovic (che, come ormai noto, ha rifiutato la classica intervista di fine match con Jim Courier), di tutta la comunità serba e infine, purtroppo per noi, della retorica da social network (e non solo): la stampa australiana ha provato a fotografare tutte le prospettive del caso del giorno, in attesa dell’imperdibile match tra Nole e Alcaraz, che speriamo possa dare finalmente un senso a una parte bassa del tabellone fino ad ora piuttosto deludente. Gli interventi dei vari opinionisti partono più o meno tutti da tre premesse fondamentali.
La prima: l’Australia, dopo le vicende del 2022 legate al Covid e al vaccino, rappresenta una ferita aperta per Nole, e ogni piccolo pretesto può diventare la scintilla giusta per la polemica. La seconda: Djokovic, con il passare degli anni, ha scoperto e assaporato sempre di più il gusto del nemico, anche se, in questo caso, si è scelto un nemico piuttosto fragile. La terza (come ricorda Julian Linden sull’Herald Sun): “Per i serbi Djokovic rappresenta molto di più di un tennista, molto di più del tennista più vincente di sempre: per loro è un vero e proprio eroe nazionale, che va oltre lo sport”, e forse, potremmo aggiungere, il problema è tutto qui.
L’ex direttore del torneo Paul McNamee difende Nole su ‘The Age’, citando, appunto, le vicende del 2022: “E in ogni caso Jones ha mancato di rispetto a lui e a tutta la sua comunità”. E ancora Linden, sull’Herald Sun, aggiunge: “Le battute teoricamente dovrebbero essere divertenti e quella di Jones non lo era per niente. È stata una scena di cattivo gusto e il giornalista di Channel 9 ha superato il limite della maleducazione. Djokovic ha vinto il torneo per 10 volte ma l’Australia, in più di un’occasione, ha dimostrato di non apprezzarlo fino in fondo. La vicenda legata al vaccino, a prescindere dalle opinioni e dai punti di vista, è stata gestita in maniera imbarazzante e da quel giorno il campione non si è più sentito a casa dalle nostre parti: è stato deriso, è stato insultato e quella di Jones è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
LE SCUSE DI JONES
La pensa in maniera diversa il giornalista Alan Attwood: “Djokovic si lamenta troppo, Djokovic si lamenta sempre: sicuramente Jones ha sbagliato, non è stato spiritoso e non gli consigliamo una carriera alternativa da comico, e su questo siamo tutti d’accordo. Però ha chiesto immediatamente scusa: le prediche e le polemiche successive allo scivolone di Tony sono state francamente esagerate: l’Australian Open è un torneo diverso dagli altri, si tratta pur sempre del cosiddetto ‘Happy Slam’, si tratta di una festa, di uno spettacolo che supera i confini del gioco. La reazione di Nole ha appesantito questa situazione in maniera sinceramente eccessiva”.
E allora – per forza di cose – ritorniamo da Greg Braun, che nel suo pezzo ha probabilmente centrato la sintesi della questione: “Ci è sembrato abbastanza chiaro che Jones non stesse insultando o prendendo in giro Djokovic: il tema del suo sketch, se così possiamo chiamarlo, era l’idea che i tifosi serbi non lo sentissero. Lo sketch evidentemente non è riuscito, lui ha sbagliato e – da esperto reporter – sa benissimo di aver fatto una stupidaggine: ma le sue parole non andavano interpretate in maniera letterale e chi l’ha fatto ha strumentalizzato la vicenda. Si è trattato, semplicemente, di una battuta non riuscita, perché le battute, quando sono azzeccate, fanno ridere. E quella non faceva ridere. Ma non c’era niente di personale”.