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Alexander Zverev, il vincente mai campione: arriverà il suo momento?

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Il tennis…che sia maledetto questo sport. Vinci, partita dopo partita, sconfiggi ogni tuo avversario e, alla fine, dopo 14 estenuanti giorni di lotta, torni a casa, ti guardi allo specchio, e sai di aver fallito. Ancora una volta, di nuovo. Ti alleni ogni giorno, con un solo obiettivo. E continui a mancarlo, d’un soffio ogni volta. Cosa fare ancora? Dove trovare la forza per provarci? Per fallire di nuovo e continuare a crederci? Inutili le ore tolte alle amicizie quando eri poco più che bambino, inutili le ore e ore di allenamento, inutili quegli stupidi mesi passati a rimettere in sesto una caviglia che sei convinto averti tolto tutto. E alla fine ci provi comunque, metti a posto quella stupida caviglia, torni a giocare, e vinci quasi tutte le partite. Quasi. E nel tennis, quel maledetto quasi, fa la differenza fra chi è fenomeno, e chi è destinato a restare inciso negli annali di questo sport.

Cosa stia passando nella mente di Alexander Zverev, non possiamo saperlo. Ma, di certo, qualcosa di non molto diverso da quanto scritto sopra. Guardiamo da lontano questi fenomeni regalarci spettacolo ogni giorno, forse invidiando un talento che mai neppure lontanamente possederemo. Pagheremmo oro, per essere al loro posto, perché le nostre sconfitte siano come le loro. E forse, fra quei fenomeni, c’è chi invidia la tranquilla esistenza dell’umano medio. A chilometri di distanza, come potremmo, noi tutti, considerare fallimento una sconfitta in una finale Slam? Non c’è nulla che vada oltre i tornei del Grande Slam, nulla che un giocatore desideri di più. Sasha, per arrivarci, ha battuto 6 fra i migliori giocatori del mondo. Ha perso una sola partita, una soltanto. Eppure, era l’unica che, almeno per lui, contava veramente. Ed è forse questo, il grandissimo problema del numero 2 del mondo.

Le tre sconfitte

Riavvolgiamo indietro il nastro.
È il 31 agosto 2020 e, Alexander Zverev scende in campo da testa di serie numero 5 del tabellone contro il sudafricano Kevin Anderson, per il primo turno del suo Us Open. Partita complicata, sporca, ma vinta. Poi Nakashima e Mannarino, entrambi battuti in quattro set. Agli ottavi, la partita più semplice del percorso, cinque giochi soltanto concessi a Davidovich Fokina. Nei quarti, trova la ventisettesima testa di serie Borna Coric: perde 6-1 il primo set, rimonta, e vola in semifinale in un torneo Slam per la seconda volta in carriera. La prima, qualche mese fa, in Australia. In semifinale trova lo spagnolo Pablo Carreno Busta, favorito dalla squalifica di Djokovic nel loro match in ottavi di finale. L’inizio è terribile, il tedesco va sotto due set a zero. Poi, vien fuori la racchetta di maggior talento: a 23 anni, Sasha raggiunge la prima finale Major della sua carriera. Percorso non particolarmente arduo, certo, ma vincere quando si è consapevoli di doverlo fare, non è mai semplice. In finale, dall’altra parte della rete, un rovescio a una mano, quello di Dominic Thiem. L’austriaco giunge all’epilogo del torneo dopo aver battuto Munar, Nagal, Cilic, Auger Aliassime, de Minaur e l’allora detentore del titolo, Daniil Medvedev. In finale, è la tensione a dominare: un basso livello tecnico fa da padrone, ma è Sasha a imporsi con maggior decisione. Vince il primo, vince il secondo, e avanza di un break nel terzo. Il traguardo è a un passo. Invece no. Thiem rimonta, vince il terzo set. Poi il quarto. E poi, anche il quinto. Zverev è sconfitto, demolito dai propri, fragili, nervi. C’è tempo: Sasha è forte, giovane, e di grande talento. Non c’è spazio per demoralizzarsi.

9 giugno 2024: Alexander Zverev affronta Carlos Alcaraz per provare a vincere il primo titolo Slam della sua carriera. Secondo tentativo, a 4 anni dal primo. 1400 giorni di agonie, vittorie, sconfitte, dolori e rientri. Sasha non ha mai mollato, nonostante quelle sconfitte che avevano fatto sembrare il suo rientro, un vano tentativo. Ancora una volta, partita dal basso livello tecnico, fortemente condizionata da un incessante vento parigino. Dopo un lento avvio, Zverev comincia a dominare un Alcaraz persosi fra i suoi stessi colpi. Il tedesco avanza, sempre più determinato: è sopra 2 set a 1. Da quel momento, vincerà soltanto tre giochi. Era l’occasione per chiudere un cerchio: fu proprio Nadal il suo avversario al primo turno. Quella finale, doveva rappresentare il lieto fine di una dolorosa traversata. E invece no, ancora un fallimento. Altre 6 vittorie vanificate da un’unica sconfitta.

Pouille, Pedro Martinez e Jacob Fearnley le prime tre vittime di Zverev sul cemento australiano, primo Slam della stagione 2025. Prima volta da numero 2 del seeding in un torneo a 128 giocatori, tornato al proprio best ranking. È uno dei favoriti, ma la strada è ancora lunga e tortuosa: primi dubbi arrivano con Humbert. Giova, poi, di un Tommy Paul estremamente teso nei momenti importanti, giungendo ancora una volta, in semifinale. Qua, è sfida all’eterno campione: dura poco. Nole perde il primo set ed è costretto al ritiro per un problema fisico già evidenziato nel match con Alcaraz. Sasha è ancora in finale. L’avversario è il numero 1 del mondo, vero. Ma il match up fra i due è sempre stato così combattuto che sembra impossibile pensare a un dominio dell’azzurro: i precedenti sono a favore del tedesco, quattro a tre. E invece, scesi in campo, si verifica l’impensabile: uno Zverev ormai esperto a quest’emozioni si sgretola davanti a un avversario troppo superiore, perdendo quasi la voglia di lottare dopo il negativo esito del secondo set. Per la terza volta in tre tentativi, Sasha deve reggere il largo piatto affianco a un avversario che ha appena ottenuto tutto ciò per cui lui lotta da 27 anni.

Il domani, fra colpi ed emozioni

Ora, come andare avanti?

Alexander Zverev è diventato così il sesto giocatore dell’era Open a perdere le prime tre finali Slam della propria carriera. Prima di lui: Andre Agassi, Goran Ivanisevic, Andy Murray, Dominic Thiem e Casper Ruud. Leggendo i nomi, è evidente che il tedesco non possa smettere di crederci. Lo statunitense vinse al quarto tentativo, a Wimbledon, a 22 anni, concludendo la carriera con 8 titoli. Chi batté in quella finale? Proprio Goran Ivanisevic, alla sua prima finale. A quella ne seguirono altre due, sempre a Londra, perse entrambe con Pete Sampras. Il 9 luglio 2001, l’incredibile trionfo da numero 125 del mondo, a 9 anni dalla prima sconfitta in finale e quando ormai mancavano pochi giorni al suo trentesimo compleanno. Per Murray, invece, furono ben 4 le finali perse prima di riuscire nella grande impresa: tre volte vittima di Roger Federer, una volta sconfitto da Novak Djokovic. Non certo avversari semplici. Il britannico aveva 25 anni quando, a New York, sconfisse in cinque set Novak Djokovic e ottenne la prima vittoria Major della propria carriera. Lo stesso Thiem, vincitore nella prima delle sconfitte tedesche, dovette fallire tre volte, prima di uscirne vittorioso. Infine Casper Ruud, l’unico ancora in attività, sconfitto due volte a Parigi e una volta a New York.

Nessuno, nella storia, ha mai perso le prime tre finali Slam della propria carriera senza mai riuscire a vincere un titolo: i numeri, almeno quelli, sono dalla parte del tedesco. Certo, lui ha già 27 anni, e le nuove generazioni sembrano ben più attrezzate e competitive di quella di cui fanno parte lui, Tsitsipas, Thiem e tutti gli altri. Tanti giovani già al vertice, quanti anni gli restano per dare battaglia a parità di condizione fisica? A Wimbledon non è mai andato oltre il quarto turno, difficile credere a un’impresa lì. I suoi campi sono sempre quelli parigini, fra il dolore più grande della sua carriera e il proprio miglior tennis. Su quel territorio, però, Alcaraz sembra superiore.

Sasha è migliorato tanto, tantissimo: prima dell’infortunio lo ricordiamo con una seconda di servizio ai limite dell’inguardabile, e un dritto raramente efficace e incredibilmente falloso. Dal rientro, il lavoro fatto col fratello è evidente: un lancio di palla più basso gli ha permesso di soffrir meno la tensione sul colpo d’inizio gioco, la seconda maggiormente lavorata ha ridotto al minimo il numero di doppi falli, due soltanto nel match con Sinner. Il rovescio resta il colpo migliore: capace di far male su ogni traiettoria e da ogni posizione, limitando gli spostamenti verso destra, dove maggiormente fatica. Il dritto non può certo dirsi identico a quello di qualche anno fa, la solidità è in aumento. Ma il colpo resta comunque debole: la fin troppo ampia apertura lo costringe ad allontanarsi incredibilmente dalla riga di fondo, per trovare il giusto timing, accorciando la traiettoria e concedendo spesso grande campo. I due metri di altezza si percepiscono in movimenti verticali non degni di un giocatore del suo calibro, lento nel prendere la rete e in grande difficoltà quando chiamato a giocare di sensibilità. Un tennis con due colpi di grande affidabilità, ma di pochi piani B.

Difficilmente lo potremo veder migliorare in spostamenti laterali e verticali, ma impossibile non vederlo lavorare giorno e notte sulla propria diagonale destra: va trovata profondità, ancor più che velocità. Non può permettersi, con giocatori come Sinner, palle a metà campo o indecisioni tattiche quando costretto a scendere verso il centro del campo.

Oltre al piano tecnico tattico, ovviamente, va osservato quello mentale. Le sue dichiarazioni dopo la finale australiana sono state quelle di un giocatore in grande difficoltà dal punto di vista emotivo, evidentemente demotivato. Deve riuscire, ancora una volta, a resettare, a tornare al lavoro come nulla fosse accaduto. A maggio avrà le sue grandi, grandissime, occasioni: Sinner sul rosso non è ancora perfetto e Alcaraz lo sappiamo concedere spesso un tennis troppo discontinuo. A Torino, Zverev ha costretto i responsabili dell’Inalpi Arena a restare svegli fino a tardi perchè lui potesse allenarsi dopo i match: va mantenuta quella voglia, ad ogni costo. Il tedesco, come da lui stesso espresso nella conferenza stampa post partita, è ancora troppo distante dal numero 1 del mondo, su quasi ogni colpo. Il tennis, però, non premia sempre il più forte: Sasha può essere il più bravo, lo è già stato. Anziano non è, i margini di miglioramento sembrano esserci su tutti i colpi.

Alcuni dei più grandi di sempre hanno lottato con le medesime avversità, prima di consacrarsi leggende. Serve continuare a crederci.




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