Planque, coach di Mpetshi Perricard: “Siamo solo all’inizio, non avete ancora visto niente”
Giovanni Mpetshi Perricard è sicuramente uno dei giocatori del momento: il 21enne francese nel corso del 2024 ha guadagnato più di 170 posizioni nel ranking mondiale, passando dal numero 205 al numero 30, imponendosi grazie a uno dei migliori servizi del circuito e meritandosi il premio di “tennista più migliorato dell’anno”. La sua stagione 2025 si è invece aperta con la semifinale di Brisbane e con la sconfitta nel primo turno più interessante dell’Australian Open: a Melbourne è stato infatti battuto nella più classica delle sfide generazionali da Gael Monfils, in cinque set.
L’ATP, sul proprio sito ufficiale, ha pubblicato un’interessante intervista al coach di Giovanni, e ci riferiamo ad Emmanuel Planque, che ha parlato della sua lunga carriera da allenatore – una carriera che ha attraversato tre generazioni di tennisti francesi – e dell’evoluzione del rapporto con l’ultimo pupillo: “Abbiamo un legame molto forte ed emotivo, riusciamo a parlare anche degli argomenti più intimi e profondi. Una notte, ad esempio, eravamo in taxi, a Rio, dove lui aveva appena vinto un torneo challenger al termine di una finale durissima: cominciammo a chiacchierare e mi raccontò cose molto personali, quelli sono i momenti che contano davvero. Poi, sì, certo, le vittorie sono importanti e ti restano impresse, ma le vittorie sono la conseguenza di qualcos’altro, le vittorie sono la conseguenza del percorso: ecco, io credo che quel percorso sia fondamentale nella crescita di un giovane giocatore di tennis”.
Planque già nel 2021 faceva parte del team che seguiva il gruppo dei giovani tennisti francesi più promettenti (oltre a Giovanni, in quel gruppo, c’era ad esempio anche Arthur Fils) ma solamente dal 2023 ha iniziato a seguire Mpetshi Perricard a tempo pieno: “E poi è diventato un adulto, perché quando l’ho conosciuto era fondamentalmente un adolescente, da tutti i punti di vista: il circuito maggiore richiede un altro tipo di lavoro, sia mentale che fisico. La soddisfazione più grande è stata vedere appunto la sua crescita e vi posso assicurare che siamo solo all’inizio”.
Il primo lampo del 21enne nato a Lione è stato il titolo nel torneo ATP 250 di casa, conquistato nel mese di maggio in finale contro Etcheverry, sulla terra battuta: “Ammetto che non avrei mai pensato che il suo primo trofeo ATP sarebbe arrivato sul rosso, diciamo che mi hanno stupito meno gli ottavi a Wimbledon e il successo di Basilea”. Già, perché in Svizzera Mpetshi Perricard ha scatenato il suo sevizio, mettendo a segno una media di 22 ace a partita, rischiando spesso anche la seconda palla: “Si è completamente affidato a me, perché vuole diventare uno dei migliori giocatori del mondo: mi ha scelto come compagno di viaggio, l’obiettivo è molto ambizioso e di conseguenza ho deciso di dedicare tutto me stesso a questo lavoro. Passo più tempo con lui che con la mia famiglia, ci motiviamo a vicenda”.
La carriera da coach di Planque è cominciata molto presto: “Avevo 24 anni e ho iniziato a seguire un giovanissimo talento mancino, Michael Llodra: prima di lui non avevo nessun tipo di base, ho letteralmente imparato un mestiere, è stata una storia lunga e incredibile”, perché Llodra, nel frattempo, ha dominato le categorie giovanili per poi diventare un ottimo singolarista (best ranking di numero 21) e uno dei doppisti più forti – certamente il più elegante – del circuito (numero 3 del ranking, 26 tornei vinti). Planque, dopo il ritiro di Llodra, si è dedicato a Lucas Pouille (classe 1994), guidandolo tra i primi 10 giocatori del mondo: “Il mio metodo di lavoro si è evoluto considerabilmente nel corso degli anni, perché all’inizio non avevo esperienza: adesso cerco innanzitutto di entrare in contatto con l’individuo prima ancora che con il tennista, cercando di capirlo e di ascoltarlo. Gli atleti rivelano loro stessi nei momenti di difficoltà, di preoccupazione e di ansia: sono quelli i momenti nei quali bisogna ascoltarli, perché di base gli atleti professionisti fanno fatica ad esprimere quello che provano davvero. Giovanni spesso mi racconta le sue paure e le sue difficoltà; questo è un segno di confidenza molto prezioso, mi sento privilegiato e responsabilizzato allo stesso tempo”