Carlos e l’oro perduto: Alcaraz soffre la mancanza di Sinner?
Okay Murcia, abbiamo un problema. Anzi, non uno solo. Se l’interlocutrice non è Houston, ma la città spagnola, è facile venire alle conclusioni che il pilota dell’Apollo 13 non sia Jack Swigert con la luna nel mirino, ma Carlos Alcaraz alla ricerca della sua stella smarrita. Le criticità che turbano il sonno dell’iberico sembrano essergli esplose dinanzi tutte in un colpo, senza preavviso e cogliendolo di sorpresa come un suo classico contropiede di dritto. La sconfitta contro David Goffin al primo turno dell’ATP di Miami è solo l’ultimo scivolone di un periodo che sta portando in dote alcuni aspetti negativi sul quattro volte campione Slam.
Analizzando la crisi di Carlos da un punto di vista goliardico, sembra che Alcaraz sia vittima di una macumba, e il primo indiziato non può che essere lo stregone altoatesino. Non può che fargli piacere per quanto concerne la salvaguardia della testa del ranking, ma è quasi pleonastico sottolineare quanto questo atteggiamento sia lontano dall’etica di uno Jannik Sinner che, spesso e volentieri, ha teso la mano allo spagnolo. Anzi, per motivi diversi rispetto a quelli di Zverev e Medvedev, l’assenza dell’azzurro sembra aver fatto più male che bene al percorso di crescita del murciano.
No, non è un’espressione impropria. Percorso di crescita. Carlos Alcaraz è un fenomeno straordinario, e questo deve essere l’assioma di partenza per qualsivoglia discorso da sviscerare. Ma la carta di identità raramente mente, e il fatto che a 21 anni abbia già portato dalla sua quattro titoli Major, rischia di trasformarsi in un fardello troppo pesante da portare avanti. O da portare avanti da solo. Diciamocela tutta, Carlitos ha bisogno di Jannik e Jannik ha bisogno di Carlitos, se non altro per sorreggere il peso della scena tennistica che li ha insigniti come eredi della Sacra Triade.
La conferma arriva proprio da loro, e dalle loro carriere. Federer, Nadal e Djokovic hanno dichiarato a più riprese quanto siano stati essenziali l’uno con l’altro, spingendosi a vicenda nella missione impossibile di limare e migliorare dettagli del proprio gioco che, visti dall’esterno, sembrava aver già raggiunto picchi paradisiaci. E’ come Batman senza Joker, senza una nemesi da fronteggiare il rischio di appagamento, alla lunga, non è uno spettro così irreale.
La penuria di risultati, come sottolineato, ha raggiunto il suo apice in concomitanza della squalifica di Jannik Sinner per la questione Clostebol, quando tra Carlitos e Sascha avevano solo da banchettare. Invece Zverev è rimasto l’unico, sebbene anche lui sia incappato in una spirale di risultati negativi, a poter insidiare il numero uno del ranking perché Alcaraz è matematicamente fuori dalla corsa, almeno fino a Roma dove però il profeta in patria sarà di ritorno dalla sanzione inflitta dalla WADA.
L’aritmetica condanna lo spagnolo in virtù dell’emorragia di punti persi che lo fa stazionare alla posizionare numero 3, precisamente a quota 6.720. Neanche con la prima affermazione a Monte Carlo e vincendo i tornei di casa, Barcellona e Madrid, potrebbe scavalcare l’altoatesino che è ben saldo in testa con i suoi 10.330 punti accumulati. Alcaraz ha recentemente dichiarato che proprio il numero uno del ranking non è un’ossessione, ma al di là del rischio retorico di esternazioni di questo tipo, sembra davvero non essere la priorità di un ragazzo classe 2003 che ha bisogno di non disunirsi più di quanto, forse fisiologicamente, abbia già fatto.
Il vaso dove trabocca il talento di Alcaraz sembra essersi rotto, ma la crepa da cui si sono ramificate le altre non è figlia di oggi e, scherzi a parte su Sinner, chi potrebbe avergliela inferta è un totem già sopracitato: Novak Djokovic. Parigi, sul Philippe Chatrier c’è in ballo la medaglia d’oro nella finale dei Giochi Olimpici francesi. Nel più classico degli scontri generazionali sembra tutto pronto per la staffetta tra vecchio e nuovo mondo, l’ultima spallata per buttare giù dalla torre l’Ancien Régime. E invece no, le motivazioni del serbo sono troppo più grandi di un ragazzo che, seppur clamoroso, “avrà occasione per rifarsi”. Doppio tie-break: tripudio Nole, lacrime e tremori per Carlitos.
Il dispiacere per aver deluso il proprio Paese e la convinzione errata di avere l’antidoto anti-Djokovic dopo le scoppole rifilategli a Wimbledon hanno tramutato quella partita in una mazzata psicologica, con degli strascichi visibili già nell’immediato 1000 di Cincinnati, neanche due settimane dopo l’Olimpiade. Gael Monfils, un altro veterano, lo rimonta e lo fa fuori in tre set al primo turno. Va da sé che lo stato d’animo con cui si presenta Alcaraz a Flushing Meadows è praticamente ai minimi storici, e si vede. Il set che gli strappa all’esordio il non irreprensibile Li Tu è premonitore, Carlitos viene schiantato 3-0 da Botic Van de Zandschulp che meditava addirittura l’addio al tennis.
Tranne i guizzi in finale a Pechino contro il rivale Sinner e il successo all’ATP 500 di Rotterdam di inizio febbraio, non sono pochi gli strafalcioni di Alcaraz contro buoni avversari, ma alla portata dell’ex numero uno al mondo. Tomas Machac a Shanghai, Ugo Humbert a Parigi-Bercy, Jiri Lehechka a Doha e Jack Draper a Indian Wells sono i carnefici e le location dello spagnolo che hanno limitato il suo incedere: da Cincinnati lo spagnolo ha raccolto solo 2470 punti su 12.000 a disposizione. Carlitos è un jukebox di colpi, una varietà impressionante che non solo l’ha portato alla vetta del tennis mondiale ma ha strappato l’endorsment della maggior parte degli ex campioni del passato come John McEnroe che stravede per lui. Una minuzia da non sottovalutare, però, è il rendimento del suo servizio. Ne è consapevole anche il suo principale avversario, durante una giocosa intervista tra i due infatti Sinner dichiarò che la battuta è un qualcosa che non avrebbe rubato ad Alcaraz.
Un’evidenza a cui si aggiunge anche la recente provocazione di Toni Nadal, che sottolinea come un big server abbia un vantaggio pari a come se si iniziasse una partita di calcio sull’1-0. Inversamente a Sinner, quello del servizio è un fondamentale su cui raramente ha fatto leva il murciano che, mai come in questo periodo, avrebbe un bisogno disperato di avere dalla sua una battuta tale da creare punti facili e veloci per non permettergli di pensare troppo, come spesso gli sta capitando nelle sue debacle.
Al di là di qualsivoglia aspetto tattico, le ombre di Carlitos sembrano annidarsi nella sua mente. Chissà se nella campagna vittoriosa a Pechino, qualche autoctono abbia sussurrato all’orecchio di Carlos la parola Kintsugi, perché é proprio quello di cui avrebbe bisogno il fenomeno iberico. Il Kintsugi è una filosofia orientale che ha alla sua base riparare gli oggetti rotti in ceramica applicando l’oro per saldare insieme i suoi frammenti. Il vaso di Alcaraz non è assolutamente da buttare, è solo da rimettere insieme magari proprio con quell’oro sfuggito da cui è partito tutto, un nuovo oro per tornare a splendere come prima.