Rassegna Stampa – Sinner guarda già a Parigi, Paolini infinita
Sinner, operazione Parigi (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Non basta affermare che ogni torneo faccia storia a sé. È certo vero, in buona parte, perché scossoni, sorprese e ‘palle che non sono quelle di prima”, mentre sono esattamente le stesse, sono l’essenza stessa di ogni torneo, di ogni esultanza e di ogni rodimento che possa provocare. L’esprit du temps, come dicono i cugini più o meno simpatici, ha però
sempre modo di farsi sentire, di rendere problematica la scalata al successo quando su quei campi c’è un Nadal che governa ormai da oltre un decennio, o viceversa convincere una torma di inseguitori, quando si sentano sostenuti da uno spirito guida (e basta magari quello di far parte di un gruppo più ampio) a ritenere che il momento per provarci sia arrivato.
E quest’ultima ipotesi potrebbe avere una valida conferma al Roland Garros di quest’anno, il quale, finita l’era di Moloch Nadal e dei suoi quattordici titoli, ammainata in frenala bandiera serba del ‘più forte sono io’, Novak Djokovic, che a Parigi non è andato oltre tre trofei, attende a sua volta di sapere se ci sarà spazio per un nuovo lungo dominio.
O invece si procederà di baruffa in baruffa nel determinare i campioni sui quali puntare. la storia del Roland Garros e dell’aviatore di cui pana il nome, che non sapeva neanche che cosa fosse il tennis, si fonda tra sussulti generazionali e rivoluzioni improvvise, in linea con la scoria di Auteuil, il quartiere che ospita l’evento, che dette dimora (e riparo, soprattutto) a tatti gli spiriti rivoluzionari della Francia giacobina.
Lo spirito dei tempi, oggi, parla di un numero uno italiano, ormai destinato a confermarsi tale per il primo anno (compirà proprio al Roland
Garros le 52 settimane in testa alla classifica).
Paolini infinita: bis con Errani. Poi il tuffo al Foro per festeggiare (Stefano Semeraro, La Stampa)
Un tuffo dove il tennis è più azzurro: la piscina del Foro Italico. C’era chi vinceva gli Australian Open e si bagnava nello Yarra (il temerario Jim Courier a inizio anni Novanta), e il Tevere in fondo non è lontano dal centrale; ma Sara Errani e Jasmine Paolini per celebrare il loro secondo
centro in doppio a Roma preferiscono saggiamente acque non contaminate. «Avevamo promesso di farlo, e abbiamo mantenuto la promessa», spiegano gocciolanti all’uscita. Per Jas è un doppio trionfo
che a Roma mancava dal 1990 di Monica Seles, e che ripete quello di quarant’anni fa di Raffi Reggia Taranto. Per Sara complessivamente la terza coppa di specialità agli Internazionali: solo Virginia Wade, con quattro, ha fatto di meglio. È stato l’ennesimo match thriller, con
le nostre indietro 4-0 sia nel primo sia nel secondo set contro Kudermetova-Mertens, ma capaci di due clamorose rimonte (6-4 7-5 il finale). «Nel doppio, con il punto secco, può capitare», dice Sarita la veterana. «Lo sai e devi essere pronto a non mollare fino alla fine». Jasmine confessa che dopo il trionfo in singolare «non ho dormito molto e al risveglio mi sono dovuta concedere un caffè in più. Ma
una finale a Roma lo meritava. Sono state due settimane davvero fantastiche». […]
Sulla terra il divario è ancora netto. Jannik studia il rilancio in due mosse (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)
Troppo forte Carlos Alcaraz o troppo debole Jannik Sinner dopo tre mesi di forzato stop durante i quali non solo non ha potuto giocare partite ufficiali ma ha potuto nemmeno allenarsi ad alto livello? Troppo decisiva la terra rossa, la superficie meno vincente e anche meno amata del numero 1 del mondo? Troppe aspettative nel torneo di casa che non vede un vincitore italiano da Adriano Panatta nel 1976 e quindi troppe aspettative anche per Roland Garros per il Profeta dai capelli rossi? Paul McNamee, ex numero 1 del mondo e campione di 4 Slam di doppio e di due coppe Davis trancia un giudizio molto netto: «Alcaraz ha dimostrato la netta differenza che porta la terra battuta… Il Maestro di scacchi contro l’Apprendista… Il secondo set pieno di sottigliezze di velocità e
altezza, l’arte dello scivolamento, angoli e drop shot… una lezione, cui Sinner potrebbe non avere risposta sulla terra battuta». L’australiano boccia l’italiano solo sulla base del secondo set. Perché, quando l’altoatesino si è trovato con l’acqua alla gola e ha arrancato disperato, ormai dimentico della superficie, ha solo corso e picchiato la palla
al meglio cercando una via di fuga.
Evidenziando piuttosto, così, tutte le lacune sulla terra. Conoscendo però il suo orgoglio e la capacità di migliorarsi, sappiamo che il suo progetto-Roland Garros, è cominciato con questo torneo e, quindi con questa partita, è proseguito negli elogi che ha proferito in campo all’avversario, si è trasferito negli spogliatoi, dove ha subito scambiato qualche parere significativo col tandem di coach Vagnozzi-Cahill e continuerà nella preparazione dei prossimi giorni e quindi anche nel corso di Parigi, per colmare il ritardo accumulato durante lo stop. I dubbi sulla terra rossa riguardo a Sinner erano leciti già prima del test contro Alcaraz che, non dimentichiamo, è proprio come ha detto Jannik l’avversario da battere a Parigi, il più forte su questa superficie. Dove l’erede di Rafa è nato e cresciuto, ha vinto il Roland Garros 2024 e la metà dei suoi tornei.
Perciò, al di là dei limiti di movimento sulla superficie – che Sinner lamenta in generale – dopo il primo set, Carlitos è riuscito ad attuare la tattica migliore. È entrato sempre di più e sempre più perentoria mente in campo. E, dal centro, come predilige, ha cominciato a spingere con insistenza sul dritto di Jannik (che da quella parte ha meno allungo rispetto al rovescio). Appropriandosi dell’iniziativa e del comando delle operazioni. Eppoi ha tagliato il campo con le micidiali smorzate, che nasconde benissimo, spiazzando ancor di più l’avversario e rubandogli il
tempo con qualche volata a rete e quindi qualche volée che a Sinner mancano.