Pedro Cachin, da Gstaad a Nadal, dice stop: “Ho dato tutto quello che avevo”
C’è un momento, nella vita di ogni tennista, in cui la racchetta diventa più pesante del sogno. Pedro Cachin quel momento lo ha riconosciuto e lo ha detto con la sincerità che lo ha sempre accompagnato in campo: basta così. A 30 anni, l’argentino che aveva saputo arrampicarsi fino al numero 48 del ranking ATP e sollevare il titolo di Gstaad nel 2023, ha annunciato il suo ritiro dal tennis professionistico. Lo fa dopo un anno complicato, segnato da un corpo che si oppone, da un calendario che smette di essere sfida e diventa ostacolo, da una classifica che lo ha visto precipitare fino alla posizione 665.
Un tennista costruito con il lavoro
Cachin non è stato un predestinato, non il ragazzo di cui si diceva “arriverà”. È stato, piuttosto, uno di quelli che ci sono arrivati perché non hanno smesso di crederci. La sua carriera ha avuto la durezza delle qualificazioni, delle settimane passate nei tornei Futures e Challenger, dei viaggi solitari, dei conti a fine mese per fare quadrare i bilanci e della fatica come unica certezza.
Quando è arrivato quel numero 48 del mondo, Pedro lo ha sempre ricordato come un lavoro collettivo, nonostante il tennis sia lo sport più individuale che esista: “Non era solo un numero. Era tutto: le ore in campo, gli aeroporti, i tornei senza pubblico, le sconfitte che sembravano non finire mai. È stato un viaggio che abbiamo fatto insieme, io e le persone che non mi hanno lasciato da solo”.
Il ricordo di Madrid, quel momento che resterà
Se c’è un’immagine destinata a rimanere, è quella di Madrid 2024. Penultima stagione da professionista, in campo con Rafael Nadal, nella cornice della Caja Magica. Partita vera, lottata, finita 6-1 6-7(5) 6-3, ma non è il punteggio che conta. È ciò che è successo dopo.
Cachin si avvicina a Nadal mentre si stringono la mano a rete. La telecamera indugia. Le parole, all’inizio, non si sentono. Poi, su Instagram, lo stesso Cachin le racconta:
gli dice che ha realizzato un sogno, che giocare contro di lui a Madrid, lì, davanti a quel pubblico, era qualcosa che avrebbe ricordato per sempre. E poi una richiesta timida, quasi da bambino davanti all’idolo: “posso avere la tua maglietta, il tuo asciugamano, qualsiasi cosa?” Nadal, da campione qual è, si è avvicinato ala panchina regalandogli il prezioso cimelio.
Un momento piccolo, certo ma che è rimasto perché il tennis, prima delle partite, è identità tennistica e umana; quella scena, più di qualsiasi statistica, racconta chi fosse Pedro Cachin.
Un saluto senza rimpianti
Nel suo messaggio di addio c’è una parola che ritorna: tranquillità. Non c’è amarezza, non c’è resa, non c’è ciò che poteva essere.
C’è la consapevolezza di aver dato tutto, un concetto che Cachin ha ripetuto molte volte: “Esco dal campo con la testa alta. Ho dato tutto quello che avevo.”
Probabilmente continuerà nel tennis, in qualche forma non ancora definita. Perché certe passioni non le si spegne, si trasformano e il tennis argentino saluta non un campione da copertina, ma un professionista vero, uno che ha vissuto il circuito con autenticità e senza scorciatoie. Pedro Cachin non ha cambiato la storia del tennis, ma ha vissuto pienamente la sua, facendo quello che ha sempre sognato di fare e questo, nel mondo reale, vale forse molto di più.
