Добавить новость
ru24.net
UbiTennis
Ноябрь
2025
1 2 3 4 5 6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30

Sinner: “Orgoglioso di essere nato in Italia. Cahill? Mi vedo con lui ancora un anno”

0

Jannik, oltre il tennis, l’ormai tradizionale appuntamento con l’intervista al numero 1 del mondo realizzata dal direttore di Sky Sport Federico Ferri, è ritornato anche quest’anno in occasione delle ATP Finals per il quarto capitolo dello speciale. Stavolta, la chiacchierata si è svolta in un luogo speciale: il Centro Oncologico di Candiolo, a pochi chilometri da Torino, dove Sinner ha riflettuto sulla propria carriera e sulla vita oltre il campo. “Sì, ecco. Per me è la terza volta che entro qua dentro, è molto emozionante perché comunque ti rendi conto di cosa sia più importante” – ha esordito Jannik, dato che l’intervista è stata condotta all’interno del Centro Oncologico di Candiolo davanti a un “pubblico speciale”, ossia il personale medico di Candiolo.

Vivere il presente, assaporare la storia

A volte, appare quasi inevitabile domandarsi se Sinner percepisca la storicità dei propri successi o viva solo il presente. “Io credo di essere una persona che sta molto sul presente” ha sottolineato Jannik. “Ovviamente so di quello che ho fatto fino ad ora, nella mia molto giovane carriera, e ovviamente sono molto contento. Però il problema che abbiamo noi nel nostro sport è che giochiamo quasi tutte le settimane, quindi non ti rendi conto. Capita dopo la stagione, quando vai in vacanza, quando fai altre cose: lì inizi a pensare, a riflettere su quello che hai fatto. Quello che ho fatto io a Wimbledon è stato molto speciale. Per esempio, Matteo Berrettini è stato molto vicino: ha fatto la finale, e prima di quel match senti una cosa diversa, perché comunque entri in un centrale di nuovo. Ma è un’altra cosa: quando entri in un centrale nel primo turno, o in una semifinale, o una finale, cambia tantissimo. In quel momento lì ho provato a stare tanto sul presente, su quello che volevo fare: stare attento alla prestazione. Alzare questo titolo a me ha cambiato un po’, perché Wimbledon è sempre stato e rimarrà sempre il torneo del tennis, secondo me. Sono contento di portare questo trofeo anche in Italia, perché l’Italia è un paese che a me dà veramente tanto, come è stata anche la Coppa Davis, che abbiamo vinto due volte di fila. Ecco, ci sono alcuni tornei che fanno bene a essere di nuovo in Italia e sono molto contento di dare il mio contributo

Dalla sofferenza alla gloria: Roland Garros e Wimbledon

La stagione di Sinner, ovviamente, è stata segnata anche dalla finale al Roland Garros, persa di un soffio contro Alcaraz. “Al Roland Garros si può dire che eravamo molto vicini, a tre match point! Quando le cose si complicano, c’è qualcosa dentro di me che mi fa capire che c’è ancora un tantissimo da lavorare. E dopo quella finale, mi ricordo che i primi due, tre giorni era un disastro, perché non riuscivo nemmeno a dormire. Non avevo energia durante il giorno, ero distrutto“.

Jannik, nel corso dell’intervista, ha riflettuto su tutta la sofferenza che ha provato in quei momenti: “Sì, perché pensi ai tre match point, pensi ai 5-4 e servizio. Poi anche: ‘Il quinto set nel tie break potevo giocarlo meglio?’ Sì e no. Carlos ha giocato da Dio e quindi è molto difficile. Però ci pensi. Per questo ho deciso di andare ad Halle e giocare il torneo per vedere come stessi. E mentalmente non stavo benissimo. Poi è arrivato Wimbledon: la settimana prima, soprattutto durante l’allenamento, mi sono detto quanto mi volevo preparare per questo torneo. Lì è iniziato tutto un processo importante: siamo stati in campo tante ore, tre o quattro al giorno, per capire come si gioca sull’erba. L’anno scorso mi ero sentito molto bene su quella superficie, proprio come quest’anno: ho cominciato benissimo. Il mezzo miracolo è avvenuto durante la partita contro Grigor (ndr.), quando ero molto vicino alla sconfitta: non vuoi vincere così, però è successo. In semifinale ho giocato molto bene con Novak e poi lì ho preso la confidenza per giocare un’ottima finale. Ho giocato molto bene, però anche lì era difficile perché ero break sopra nel primo, ho perso 6-4 e mi sono detto: ‘Ecco, ci risiamo’. Invece mi sono messo lì e ho cercato di essere il giocatore che volevo. Volevo far capire a me stesso che ero migliorato da Parigi

Il tasso di divertimento resta alto

Il divertimento in campo, racconta Jannik, è ancora alto, anche se con i grandi traguardi raggiunti ci sono fisiologici momenti di calo. “Sì. Poi è normale che quando raggiungi certi obiettivi c’è un piccolo calo: non possiamo stare per un anno intero sempre al top. A me è successo un pochettino dopo Wimbledon, quando ho comunque sempre giocato bene: ho giocato la finale a Cincinnati, poi US Open, ma sentivo che non avevo questa forza di spingere. C’erano altri giocatori motivati. Ora ho un obiettivo davanti e lo voglio raggiungere di nuovo, così come è successo nelle scorse due o tre settimane. Ho giocato molto bene, mi sono sempre allenato bene, ho avuto energia. È molto difficile essere stabili mentalmente sempre, l’importante è che il calo non porti troppo giù, quasi sottoterra, ma che si mantenga a un livello alto. E credo che per il momento io sia abbastanza bravo a gestirlo”.

Umiltà e consapevolezza

L’umiltà di Jannik non è solo una questione di forma: è un approccio mentale che guida il suo modo di essere dentro e fuori dal campo. Io ho sempre pensato che noi atleti non cambiamo il mondo. Ho sempre pensato così. Poi ognuno ha degli idoli. All’inizio per me è stato Andreas Seppi, perché conoscevo solo lui. Poi dopo, quando sono entrato un po’ nel tennis, è diventato Roger (Federer, ndr.). Quindi ho conosciuto Rafa (Nadal, ndr.), una persona umanamente incredibile. Ho conosciuto un po’ Nole (Djokovic, ndr.), bravissimo in quello che fa. Ma ti rendi conto che sono persone, il mondo non cambia grazie a loro. Invece noi siamo seduti qua e la differenza la fate proprio voi” (si rivolge alla platea, ndr) “che riuscite quasi a ridare la vita o a risolvere dei problemi che sembrano impossibili. Voi state facendo una cosa incredibile! Noi giochiamo solo a tennis con una pallina che cerchiamo di tirare in campo, non c’è tanto di più. Poi ci sono alcuni che lo fanno bene, alcuni che non lo fanno bene. Però sempre non cambiamo la vita”

Fiducia e vicinanza nel team

Detto questo, la convivenza costante all’interno del team diventa quasi un allenamento di fiducia e vicinanza. Ogni torneo, ogni viaggio, ogni soggiorno insieme alimenta un legame unico. Certo. Il team lo vedo più di tutte le altre persone. A volte viviamo insieme in casa, come per esempio a Wimbledon o Indian Wells. Siamo quasi tutti nello stesso posto: sono le persone che io vedo al mattino quando mi sveglio, quando voglio scherzare… in qualsiasi momento insomma. E se lì non ti fidi al 100%, fai fatica e non funziona. Puoi essere il più bravo preparatore fisico, ma se non c’è questa unione, questa fiducia, non funziona. È impossibile. E a volte è proprio così: provi, ma non funziona. Anche se il lavoro viene fatto da Dio. Però è così. Io cerco questo nelle persone”. Questa filosofia spiega molte delle scelte recenti e dei cambiamenti nel suo staff. “Esatto”.

La sfida con Cahill

Quanto a Cahill, il discorso si fa più delicato: il tentativo di convincerlo a continuare insieme è ancora in corso.
“Questa sarà la sfida più grande di quest’anno! Ancora dobbiamo parlare, perché la stagione non è finita: c’è un torneo importante qua a Torino, sappiamo cosa c’è in palio. Però dopo ovviamente ci dobbiamo sedere e confrontarci. Lui ha compiuto 60 anni quest’anno, è stato nel tennis da giocatore, poi è entrato come allenatore, quindi è in questo mondo da 40, 45 anni: capisco anche lui! Io mi vedo insieme a Cahill ancora per un altro anno, perché è una persona che va forse anche oltre il concetto di allenatore: è un po’ come il padre che unisce tutto il team, soprattutto quando le cose non vanno benissimo. È stato fondamentale fino a ora per la mia crescita, per quello che sono. È stato fondamentale anche per Simone (Vagnozzi, ndr.) perché mi ha preso quando ero tra i primi dieci e anche lì dalla parte dell’allenatore c’è tanta pressione. Speriamo di convincerlo.

La mamma in tribuna

Non mancano i momenti familiari: i genitori, in particolare la mamma, sono figure centrali ma discrete, capaci di condividere emozioni e tensioni senza invadere lo spazio del campo.
“Allora, quando ho iniziato a giocare meglio, parlo di due, tre anni fa, mia mamma mi ha detto: ‘Io non voglio essere nel tuo box, però se fai le finali in un Grande Slam in Europa io voglio essere lì’ ha spiegato il numero 1 del mondo. Per poi proseguire: “Vado in finale a Roland Garros, la chiamo e mi conferma che sarebbe venuta. Viene, si mette nel box e vede una partita in cui succede di tutto e di più. Dopo Parigi le ho detto: ‘Guarda, hai superato questo, puoi superare tutto’. E invece… Faccio un piccolo passo indietro. A Roma non ha visto nessuna partita, tranne la prima contro Navone. Si è ripresentata alla finale, e ho perso. Quindi a Parigi, e ho perso. Quando mi ha detto che sarebbe venuta a Wimbledon, non glielo volevo dire, ma mi sono detto che sarebbe stata l’ultima chance (ride, ndr)! Adesso in realtà ha chiesto a Riccardo Ceccarelli, se c’è qualcosa da imparare. Ora si metterà lì e piano piano imparerà anche lei: già adesso si vede che non sorride più, che è tutta focalizzata. Vedrai che non farà nemmeno più l’applauso!.

Gestire la pressione da Numero 1

Il ritorno al numero 1 del mondo porta con sé riflessioni sulla gestione della pressione: “Ovviamente io conosco tutti gli scenari, è parte del mio lavoro. Ma è tutta una conseguenza di come vai a un torneo, di come giochi la partita, di quanta pressione ti metti ma anche di quanta tensione c’è. Perché quando siamo tesi, c’è confusione: inizi a servire male, ti muovi molto peggio, respiri molto peggio. E quando magari dopo un set dovresti essere fresco, arrivano i crampi. Come è successo a me a Shanghai. È molto importante sapere quello che potrebbe succedere a livello di classifica, ma poi bisogna stare attenti a come si gioca, pensare punto dopo punto. A Parigi la scorsa settimana ho fatto molto bene, perché avevo sbagliato in Cina. E in Cina potevo già tornare in prima posizione. Io sto molto attento a quello che devo fare io. Andiamo giorno dopo giorno, facciamo con calma: se succede, bene; se no. va come va. Non c’è tanto da fare. Però sono contento del percorso che sto facendo, a prescindere dai risultati”.

Il percorso tecnico

Il lavoro sul gioco, invece, non si ferma mai. “Quello che abbiamo sicuramente cambiato è stato il servizio: prima andavo tanto fuori tempo, ora è molto più regolare. È un colpo per cui ho faticato molto, perché è l’unico che nel nostro sport fai del tutto da solo: puoi decidere la velocità, la rotazione, gli angoli, il tempo di come servire, anche quanto tempo prendere prima di servire. Ci sono tante cose che puoi cambiare. Siamo partiti da lì e a Pechino abbiamo cominciato a servire molto molto meglio. Ci abbiamo lavorato ancora: in finale a Parigi ho servito molto bene, ma sentivo che non era lo stesso movimento di Vienna. Quindi è un colpo che perdo abbastanza velocemente. Da fondo campo invece stiamo cercando di variare. Tanti giocatori variano con lo slice e con il colpo normale, io cambio molto con la rotazione, ma sempre giocando da colpo normale. In tv non si vede a causa dell’inquadratura, ma abbiamo aggiunto questa caratteristica. Stiamo cercando anche di andare un pochettino più a rete e soprattutto di giocare col punteggio. Perché il punteggio è fondamentale per tutta la carriera”.

Essere italiani e le critiche

Il tennis è uno sport individuale, ma le critiche esterne sono inevitabili. Sinner ha imparato a filtrarle e a concentrarsi sulle persone che contano davvero: il suo team e i suoi affetti. La nazionalità, invece, è motivo di orgoglio e di responsabilità.
“Sai, le critiche ci sono e ci saranno sempre… Ma la cosa più importante sono le persone che hai intorno: è una banalità, ma è questa la soluzione e io ho sempre avuto intorno a me persone che mi volevano bene. Mi basta questo per stare tranquillo. Poi, il tennis è talmente individuale… Sei da solo in campo e devi fare anche delle scelte da solo… Sto bene lì. Quando esco, mi faccio la doccia e vado a casa… (applausi, ndr)”. E sulla nazionalità:
“Questa è una una domanda a cui non so rispondere… Io sono orgoglioso di essere italianoAbbiamo tutto per competere contro i migliori al mondo: dobbiamo unirci, stare insieme e darci forza per avere più trofei. Con il massimo orgoglio possibile, perché l’Italia lo merita (applausi, ndr)”.

Le Finals e l’imprevedibilità

Infine, ogni torneo porta la sua tensione e la sua magia, ma Sinner vuole godersi il momento e giocare al massimo, senza dare per scontato nulla.
“(Ride, ndr) Non lo so! È tutto imprevedibile. Sarà un’edizione molto speciale a prescindere da quello che succederà… Lo spettacolo sarà molto alto, teso. Speriamo di essere in due singolaristi italiani e in un bello spettacolo.





Moscow.media
Частные объявления сегодня





Rss.plus
















Музыкальные новости




























Спорт в России и мире

Новости спорта


Новости тенниса