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Coppa Davis, Berrettini a Ubaldo: “3 su 5 in Australia? Fammi fare due bocce di vino e vado diretto!”

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“Non chiedo di ritrovarmi, ma di evolvermi. Credo di essere maturato nelle decisioni e nella gestione delle difficoltà. Forse tra le tante difficoltà che ha attraversato nella sua carriera Matteo Berrettini, da oggi bicampione del mondo, non immaginava anche quella di dover rispondere alle domande del direttore Ubaldo Scanagatta. Dulcis in fundo!, scherzava l’azzurro quando, al termine di una conferenza fiume, l’ultima domanda (le ultime domande, in realtà) arrivavano proprio dal direttore.

Ho una domanda-telegramma per Simone Bolelli, Andrea Vavassori e Matteo Berrettini: quanto vi dispiace non aver giocato, anche se avete vinto la Davis? Matteo, pensi sia uno spauracchio affrontare i tre set su cinque all’Australian Open, visto quanto stavi giocando bene due su tre? E per Cobolli: quali sono i momenti più emozionanti, i 42 minuti tra il primo e il settimo match point contro Bergs o i 19 minuti di per vincere al settimo set point? Che cosa ricorderai di più di questo weekend?”

La risposta di Matteo – davvero telegrafica un attimo prima di alzarsi e chiudere la conferenza – è tutta un programma: Tutto pronto per l’Australian Open Ubaldo, fammi fare due o tre bocce di vino e vado diretto!, scherza il romano, che prima – più seriamente – aveva dichiarato: “Nel tennis si può sempre giocare meglio, ma penso di aver gestito bene tutte e tre le partite. È uno sport che ha bisogno di continuità, di partite perse e vinte, di esperienza e ritmo. In Coppa Davis riesco sempre a trovarlo. La Davis non è più solo una spinta per il resto, forse è il resto che mi spinge a fare bene in Davis“.

Le altre risposte alle domande di Ubaldo:

Cobolli: “Il primo ricordo sono i punti vinti oggi, il set point, Filippo che corre verso di me, Matteo che scavalca, i ragazzi che arrivano dallo spogliatoio. Sono tutte cose che non dimenticherò mai: mi danno una forza enorme per ricominciare

Vavassori: “Quando hai una squadra così unita, lo sentiamo davvero. L’avevamo detto anche prima di giocare la prima partita: chiunque sarebbe entrato avrebbe dato il cuore. Siamo cresciuti insieme, abbiamo un senso di squadra molto forte. Non dispiace se vince la squadra: se i compagni vincono e non si gioca, va bene così. Sapevamo che dovevamo essere pronti e carichi. Essere lì dà fiducia a loro e loro danno fiducia a noi, questa è la cosa più importante”.




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