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Volandri: “Siamo una macchina quasi perfetta”

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Quando parli in conferenza stampa con Filippo Volandri, non stai soltanto dialogando con il capitano della Nazionale italiana, stai conversando con uno dei pochissimi uomini capaci di vincere tre Coppe Davis consecutive. Dato di fatto incontrovertibile che lo proietta in un’altra dimensione che senza scadere nella facile retorico è una dimensione storica. Un club minuscolo, popolato da figure che appartengono più ai libri che alle conferenze stampa: Richard Norris Williams, timoniere di un’America che dominò la competizione nelle prime decadi del Novecento, o Harry Hopman, padrone dell’emisfero sud, capace di inanellare serie da quattro titoli come se fosse normale. E invece non lo è. Lo era solo per gli Stati Uniti o per l’Australia di un’altra epoca. Volandri adesso è lì, su quello stesso livello.
E per capirlo basta leggere le sue parole che restituiscono l’essenza di un capitano umile e lucidissimo, lontanissimo dall’epica ma perfettamente consapevole della portata dell’impresa.

Il capitano, ai microfoni de ‘La Gazzetta dello Sport’, scherza sul fatto di essere astemio: “Meno male: con tutti questi trionfi rischierei l’alcolismo!”, ride. Eppure la sua terza Insalatiera ha un sapore particolare: “Ragazzi liberi, io in famiglia. Per me questa Davis è ancora più speciale perché mio figlio Edoardo compie gli anni. La mia famiglia ha sempre assistito alla finale, anche a Malaga”.

Il formato della Davis resta divisivo, viste le opinioni passate di tanti giocatori, ma Volandri sceglie la concretezza: “Le partite viste qui non si vedono in un torneo normale. È un’altra cosa, ed è bella per questo”. Una bellezza percepita anche dal pubblico italiano, che ha riempito Bologna e ha fatto registrare ascolti importanti. Sul tricampionato azzurro, il capitano mantiene la sua filosofia: una Davis alla volta. “Quando mi avevate chiesto se giocavamo per la terza, io ho sempre detto che giocavamo per quella del 2025. Ognuna è diversa, i protagonisti cambiano. E ho la fortuna di avere sempre tanta scelta”.

La prossima? “Sono pronto a mettermi al lavoro già da domani. Non siamo qui per battere record. Siamo qui per lavorare il meglio possibile ogni anno. Se si vince, vuol dire che ci siamo riusciti”. Anche perché un percorso netto come quello di quest’anno tre vittorie per 2-0 non era affatto scontato. Più dei trofei, però, lo inorgoglisce la crescita collettiva: “Siamo una macchina quasi perfetta. È il frutto del lavoro condiviso: Federazione, settore tecnico, allenatori, ragazzi. Una grande squadra”.

Coppa Davis, Volandri: “Sinner e Musetti non sono mai mancati”

Un gruppo che funziona anche perché sa divertirsi. “Chi sembra serio, nel gruppo si scioglie. Dopo cena, nella stanza del fisioterapista, ridiamo, parliamo, ci rilassiamo”. E sì, anche la Playstation ha la sua parte: Cobolli ha confessato che è diventata rito della vigilia. “Non tutto il giorno, ma la sera sì. Fa bene alla testa”. E anche senza Sinner e Musetti, il legame è restato forte: “Ci hanno scritto subito. C’è una chat della squadra, e loro non sono mai mancati. Ma anche gli altri: Darderi, Arnaldi… tutte tessere della stessa identità”.

Volandri guarda già avanti: portare i giovani, far respirare loro la Nazionale, costruire un ricambio. “In cinque anni credo di aver avuto sei o sette esordienti. Se possiamo creare i giocatori del futuro grazie a queste vittorie, il successo è ancora più prezioso”.
Poi, una riflessione sul peso del ruolo: “Da capitano la responsabilità è verso i ragazzi e verso la nazione. Sono stato un buon giocatore, forse, ma non paragonabile a questi ragazzi”.
Infine, la scena simbolo: la rimonta di Cobolli. “Contro Munar gli ho detto che non c’era così tanta distanza, che bastava una spallata”. Quella spallata è arrivata. E ha aperto le porte del successo e della storia.




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