COPPA DAVIS Quale altra nazione è riuscita a vincere una Coppa Davis senza poter contare sui suoi 2 migliori tennisti? L’eroe Cobolli e il risorto Berrettini ce lo hanno permesso
Tre vittorie, tutte per 2-0, senza nemmeno la necessità di giocare il doppio, anche se Bolelli e Vavassori, scalpitavano negli spogliatoi e non so quanto siano riusciti a vedere secondo e terzo set di Cobolli-Bergs, secondo e terzo set di Cobolli-Munar e a godersi le vittorie davvero “epiche” di Flavio. Ma alla fine erano felici anche loro e festeggiavano con i compagni come se avessero conquistato il punto decisivo, perché anche se può saper di retorica si ha invece proprio la sensazione che quel che ha detto Filippo Volandri e un po’ tutti gli azzurri “questa terza vittoria in Coppa Davis è frutto dell’unità di un grupppo dove davvero tutti sono amici e giocano l’uno per l’altro, senza invidie, gelosie, retropensieri”.
Le “eroiche” maratone in rimonta di Flavio hanno finito per oscurare un po’ le vittorie altrettanto importanti, e ben più nette, conquistate con autorevolezza e personalità da quel Matteo Berrettini che – come avrete visto in certi loro video di una quindicina d’anni fa e avrete letto un po’ dappertutto – ha visto crescere Flavio come tennista, “strappandolo” un pochino all’altra sua grande passione, il calcio (e la Roma…ma quest’ultima è rimasta). Ma se le hanno forse oscurate agli occhi dell’opinione pubblica, non invece a Matteo che sembrava il più felice ed entusiasta di tutti, perché quando lo hanno chiamato dagli spogliatoi – e Flavio aveva perso 6-1 il primo set con un Munar che pareva a tratti la reincarnazione di Rafa Nadal (non sono blasfemo!) per come correva, recuperava, saltava, per come batteva (il 75% di prime, quando poi fra secondo e terzo set sarebbe sceso sotto il 60%- dicendogli:”Vieni Matteo, abbiamo bisogno di te!”), lui si è precipitato a bordo campo e non c’è stato punto in cui non si sia alzato in piedi a incoraggiare il suo pupillo, a battere con le mani sulla barra di legno che separava la panchina dal campo come non avrebbe saputo fare con altrettanta energia neppure Ringo Starr.
Certo è che Jannik Sinner aveva ragione quando diceva – e a qualcuno sarà sembrato che lo dicesse per addolcire la delusione dei suoi fans che avrebbero voluto vederlo in campo anche in questa terza finale di Davis – “la squadra italiana è forte anche senza di me, può vincere anche se io non ci sono. Una squadra che può permettersi di non convocare Luciano Darderi che è n.27 del mondo, non può non essere una squadra super competitiva”. I fatti la ragione gliela hanno data, forse anche al di là del suo stesso pensiero.
E anche chi, come il sottoscritto, aveva condiviso un certo ottimismo ed era in fondo sicuro che avremmo raggiunto la finale perché avremmo battuto sia l’Austria sia il Belgio – l’ho scritto in tutte le salse e…a dire il vero ho invece temuto di essermi sbagliato quando Bergs si giocava i suoi 7 matchpoint contro Cobolli, perché anche il doppio belga non era da sottovalutare- invece alla vigilia di questa settimana ero molto più preoccupato riguardo alle nostre chance in finale, soprattutto se avessimo incontrato la Germania di Zverev, di Krawietz e Puetz. Ma anche con la Spagna, che aveva sorpreso la Germania e prima la Cechia, non si poteva star tranquilli. Munar, un giocatore non meno determinato di Cobolli – che aveva raggiunto gli ottavi all’ultimo US Open e che aveva battuto Flavio recentemente a Shanghai 7-5 6-1 commettendo soltanto 5 errori gratuiti – stava vivendo il periodo migliore della sua carriera, dimostrando progressi inaspettati fino a poco tempo fa anche sulle superfici indoor. Aveva battuto Shelton e Aliassime a Basilea, due top-ten che giocano particolarmente bene sul cemento indoor: perché non avrebbe potuto battere anche Cobolli, n.22 con un best ranking di n.17 e lui pure più d’estrazione terraiola?
Confesso che quando ho visto il maiorchino n.3 (Nadal è il maiorchino n.1, Moya il n.2…ma che aria si respira in quella piccola isola se sforna tennisti di questo livello pur essendo più piccola della metà dell’Umbria?) in quello stato di euforia all’inzio del secondo set, quando aveva appena strappato in apertura di set il game di battuta a Cobolli e ha avuto la palla del 2-0, ho cominciato a pensare che stavolta avremmo dovuto aspettare il doppio decisivo. E non ero tranquillo, perché di Granollers doppista – senza dimenticare che è stato n.19 ATP anche in singolare -ho una grandissima stima.
Ma Cobolli si è dimostrato un vero irriducibile guerriero, non esagero. Per fare un punto a quel “misirizzi” spagnolo biosgnava ogni volta fare miracoli, scambiare otto, dieci volte, tentare di aprirsi con botte furiose il campo dalla parte del dritto, girare attorno alla palla e colpire con dritti anomali impressionanti sul lato del rovescio, schiacciando la palla dall’alto in basso quasi fossero smash al rimbalzo. A tratti mi è parso quasi che avesse derubato Berrettini dei sul “hammer”, il martello.
Ma l’altro non ci stava. Di arrendersi non ne voleva sapere. A fine secondo set, chiuso al settimo setpoint da Flavio – il 7 deve essere un numero che gli porta fortuna…con Bergs aveva salvato il settimo matchpointe chiuso al suo settimo matchpoint – sul mio congestionato taccuino leggevo che Munar aveva salvato 11 pallebreak. Meno male, dicevo fra me e me, non era passato a condurre 2-0 al secondo set, ma lì aveva perso l’unico servizio, altrimenti saremmo stati nei guai.
Vabbè, alla fine invece il nostro ha avuto i nervi più saldi di Munar. Nel terzo set, infatti, pur lottando su ogni punto, a fine di scambi spesso asfissianti e su ritmi impressionanti (magari in tv ci se ne accorge meno…perché le immagini accorciano il campo, gli angoli, le rincorse) mentre io pensavo a che sforzi terribili fossero esposte le anche dei due contendenti – piegarsi fino a terra per giocare in estensione un rovescio a due mani, punto dopo punto, senza spaccarsi ogni cosa testimonia una condizione fisica e atletica dei giocatori di oggi che anni fa non era nemmeno immaginabile – mi chiedevo anche: ma come è che pur giocando punti interminabili, quando l’efficacia della messa in gioco, cioè del servizio – fosse una prima oppure una seconda – avrebbe dovuto inevitabilmente attenuarsi, tuttavia chi batteva teneva sempre il turno di servizio a 15?
Eppure nei primi 10 game del terzo set, fino al 5 pari, Munar ha perso solo 5 punti nei suoi game e Cobolli addirittura uno in meno, 4! E ecco che sul 5 pari all’improvviso l’equilibrio si spezza. Munar che aveva tenuto tre game di fila a 15, eppoi uno a zero, si disunisce sul 15-0 a seguito di un net e quando sul 15 pari Cobolli indovina una gran bella risposta resta sorpreso. Sul 15-30 segue un errore gratuito di rovescio per il 15-40– i rovesci anticipati lungolinea erano stati il suo marchio di fabbrica nel primo set – salvava la prima pallabreak con una prodezza incredibile a rete che strappa gli applausi perfino alla panchina azzurra, ma poi arriva un drittone-comodino di Cobolli a sigillare il break. L’ultimo game Cobolli lo fa a zero. Ed è l’apoteosi, l’invasione di campo di una delle più numerose panchine della storia – erano 19 in maglia bianca, ma in quel momento 17 perché Bolelli e Vavassori erano rintanati chissà dove e con chissà quale tensione – gli abbracci, Cobolli strattonato da mille abbracci, sollevato in aria, tutti vogliono toccarlo come non capitava neppure a Santo Flavio martire romano, nipote di Vespasiano.
E poi tutti in sala stampa a riscrivere i record mille volte già anticipati: terza vittoria consecutiva come non era mai più capitato da quando gli Stati Uniti fecero cinquina dal 1968 al 1972 (e il 1971 fu l’ultima Davis che si disputò con il Challenge Round, cui alcuni nostalgici vorrebbero tornare pur di ricreare una Davis decisa da 5 incontri anzichè da soli tre), l’Italia che vince per due anni di fila sia BJK Cup che Davis come è capitato solo a USA e Australia, l’Italia che si aggiunge a USA, Australia, Francia e Regno Unito a centrare il tris consecutivo. Ma se al Regno Unito avessero tolto in finale Fred Perry e Bunny Austin non avrebbero vinto di sicuro la Davis. E nemmeno se alla Francia avessero tolto Lacoste e Cochet. Forse solo americani e australiani in certi anni, sarebbero stati camponi di Davis anche senza i loro due primissimi campioni.
Insomma con la prima Coppa Davis vinta in casa si chiude in bellezza un 2025 straordinario, il migliore di sempre per il nostro tennis. Un anno in cui un nostro giocatore ha vinto le ATP Finals e 2 Slam su 4 e ci permettiamo di rimpiangere che non ne abbia vinto un terzo per via tre maledetti matchpoint mancati a Parigi– indovinate chi sia – un altro giocatore si è qualificato per le ATP Finals e ha battuto un australiano che si è qualificato per le semifinali, e una giocatrice si è qualificata per il secondo anno consecutivo per le WTA Finals dopo aver vinto gli Internazionali d’Italia. Un’annata incredibile che avrebbe potuto essere migliore soltanto se Sinner avesse centrato anche il Grande Slam. Ma ora non mettiamogli addosso anche questa incombenza. Che intanto cominci per fare un altro tris personale, quello dell’Australian Open a gennaio 2026. È vero, ormai siamo diventati proprio incontentabili.
