Ilaria Cucchi: «Ho imparato sulla mia pelle che di indifferenza si può morire»
«Mi manca mio fratello, mi manca tanto. Oddio dov’è Stefano. Stefano è morto. Nulla può accadere perché tutto è già successo». Ilaria Cucchi legge, sola sul palco, un brano da libro Il Coraggio e l’amore, scritto con l’avvocato Fabio Anselmo che ha seguito il caso di suo fratello e che è diventato il suo compagno. Lui la raggiunge per l’incontro a Vanity Fair Stories perché è parte fondamentale di questa storia: «È diventato il dono di mio fratello che era la persona che mi voleva più bene al mondo».
Il caso Cucchi, «quel tossico di mio fratello», è diventata una storia che riguarda tutti. Dieci anni dalla morte alla sentenza del 14 novembre 2019 che ha condannato, con pene diverse, 4 carabinieri. Un altro carabiniere ha fatto, in quell’aula di tribunale, il baciamano a Ilaria. «È stato un gesto spontaneo che riassume il senso della nostra battaglia di civiltà. Non sono solo Stefano e la sua famiglia ad essere stati danneggiati, ma tutti quei carabinieri e agenti che hanno lavorato e lavorano onestamente» racconta lei.
Ilaria racconta dieci anni di battaglia fuori e dentro dai tribunali con una certezza: «Il riconoscimento della verità è più importante delle condanne». La mattina prima della sentenza però era terrorizzata. «Sapevo che era una situazione tutta diversa da quello che era successo nel passato, ma ho visto casi come il nostro con situazioni evidenti negate in tribunale. Quel baciamano riassume quello che abbiamo portato avanti non soltanto per noi, ma per tutti i cittadini».
È Fabio Anselmo a raccontare che la causa della morte di Stefano era già scritta prima dell’autopsia ed è stata confermata da consulenze e perizie negli anni successivi. I carabinieri non potevano essere coinvolti e allora furono messi sotto processi tre agenti di polizia penitenziaria. «I depistaggi si sono ripetuti e reiterati. Non solo nei giorni successivi alla morte di Stefano, ma anche nel 2015 e in corso di processo» ribadisce il legale che è stato anche quello dei genitori di Federico Aldrovandi.
La svolta è arrivata con una sconfitta, il «tutti assolti» del processo dell’ottobre 2014. «Per me avevamo vinto», dice Ilaria, «sapevo che era un processo sbagliato e che dovevamo portarlo avanti per rovesciare il tavolo. Dopo, fuori dall’aula, in tanti hanno capito che cosa era vero. Ho capito fin da subito la determinazione d Fabio che gli ha dato la possibilità di gestire le cose in modo diverso da come avrebbero fatto altri».
Ilaria Cucchi non ha difficoltà ad ammettere che era una persona diversa dieci anni fa. Educazione cattolica, gli scout, mai entrata in un’aula di tribunale. «Ho imparato sulla mia pelle che di indifferenza si può morire, ma so anche che storie come la nostra raccontano la violazione dei diritti dell’essere umano». Lei è sempre rimasta in prima linea e dalla prima linea raccoglie minacce e insulti. «Vengo considerata antipatica perché lotto. Siamo simpatici finché piangiamo e ci strappiamo i capelli».
Quello degli haters è un messaggio intimidatorio per l’avvocato Anselmo. «Se perdi non va bene perché insulti le forze dell’ordine, se vinci non va bene lo stesso. Io lo percepisco come un messaggio mafioso: tu non ce la fai, ma se ce la fai ti colpisco ancora. Dire che la droga fa male a 10 anni dal fatto il giorno della sentenza (lo ha fatto Matteo Salvini ndr) è un messaggio vigliacco. Rispetto di più coloro che dicono che della vita di Stefano Cucchi non gli interessa niente e che sosterranno sempre le forze dell’ordine».
Il caso Stefano Cucchi è questione giudiziaria, ma è soprattutto la storia di una famiglia e della sua lotta perché dover raccontare quotidianamente il dolore non ti permette di elaborarlo. «Questi dieci anni», conclude Ilaria, «ci hanno devastati. I miei genitori hanno dovuto fare i conti con la morte del figlio e con anni per rendergli giustizia. La famiglia Cucchi ha perso: dal punto di vista lavorativo ed emotivo, da quello della salute. Mio padre fa il geometra e si è dedicato alla progettazione della tomba del figlio nel cimitero di San Gregorio da Sassola. Tutte le sere riguarda il film Sulla mia pelle perché glielo fa sentire accanto».
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Si ringrazia anche Medusa