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Сентябрь
2021

Un dolore improvviso a cena, poi l'infarto. Il racconto del campione di pesca: «Sono vivo grazie al mio amico medico»

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LIVORNO. L’amicizia, il tempismo e un pizzico di fortuna – che in certe situazioni non guasta mai – sono gli ingredienti di una storia a lieto fine. I protagonisti sono Marco Volpi, 52 anni, super campione livornese di pesca e Antonio Augusti, professione medico, primario di ortopedia all’ospedale di Livorno.

È il cinquantaduenne, appena uscito dal reparto di cardiologia dopo un intervento d’urgenza e sei giorni di ricovero, a raccontare il suo ritorno alla vita. «Me lo lasci dire: è andata di lusso, se avessi aspettato un’altra mezz’ora non so come sarebbe finita. Arrivato in pronto soccorso avevo una coronaria chiusa e un’altra che stava per chiudersi. Ero in blocco cardiaco. Per fortuna c’era Antonio con me. Che appena ho accusato i sintomi dell’infarto li ha riconosciuti e mi ha caricato in macchina per portarmi in ospedale».

Tutto accade la sera del due settembre in un terreno alle Cinque Querce. «Il giorno prima ero tornato con mia moglie da una vacanza in Corsica dove avevo pescato molto. Così ho invitato a cena Antonio, anche lui appassionato come me, e la moglie: tartare, carpacci, tonno. Ci mettiamo a sedere per l’antipasto e sento un dolore alla bocca dello stomaco. Ho pensato fosse un principio di ernia iatale, mi era già successo. Ho bevuto un bicchiere d’acqua gassata pensando passasse. Invece nulla. Anzi. Il dolore è aumentato, si è allargato al collo, poi alla mandibola, al braccio. Quando Antonio se n’è accorto mi ha preso, mi ha montato in macchina e siamo andati in ospedale. È lì che ho scoperto che avevo un infarto». Dall’ospedale Volpi ha raccontato la sua odissea: «Mi hanno finito il tagliando, tre stent sulla coronaria. Se ero uno normale ne sarebbe bastato uno, ma giustamente non si fidano. Voglio ringraziare di cuore, è il caso di dirlo, tutto il reparto Utic di Livorno, gestito da persone preparate, professionali e umane, qui bimbi non si scherza si lavora sul motore principale del nostro corpo e questi sono bravi. Voglio salutare la mia famiglia, mia madre, i miei amici, le persone che sono state in ansia per me». Dopo la paura, per Volpi è il momento della riflessione su sé stesso e sullo stile di vita che ha tenuto fino a ieri. «Chiaramente – dice – smetto di fumare, farò una vita con meno stress e meno veloce, d’altronde io viaggiavo a 300 chilometri all’ora da sempre, ora sarà meglio che rallenti i ritmi, altrimenti la prossima potrebbe andare diversamente. Non dimenticherò mai la faccia tesa della dottoressa mentre mi portava in sala operatoria. In quel momento ho pensato alla mia vita, a come sarebbe stata quella di mia moglie e dei miei figli se non ce l’avessi fatta. Mi sono sentito su una lama, il precipizio era accanto a me. Economicamente come staranno i miei? Ho fatto il massimo per loro? Posso essere soddisfatto della mia esistenza? Domande così».

Il campione mondiale di pesca durante il ricovero ha anche ripercorso l’ultimo anno: la multa per aver pescato 48 chili di orate quando il limite era di cinque, le critiche, le scritte offensive apparse in città, ma soprattutto la squalifica di un anno da parte della federazione. «Sicuramente – ammette – quello che mi è successo ha influito. Soprattutto il comportamento della federazione mi ha ferito. Ho ammesso di aver sbagliato e ho pagato la multa. Lo dico chiaramente per l’ennesima volta: quando vedo un pesce grosso io non resisto. È più forte di me. Invece ciò che ha fatto la federazione mi è parso davvero un complotto. È come se Hamilton venisse trovato ubriaco al volante della sua auto. Nessuno si sognerebbe mai di non farlo gareggiare in Formula Uno per punirlo. Invece questo è quello che hanno fatto con me. Poi mettiamoci l’emergenza sanitaria, le chiusure. Tutte cose che fanno aumentare lo stress».

Mercoledì pomeriggio le dimissioni dal reparto di Cardiologia e il ritorno a casa. «Appena uscito ho fatto due cose: la prima è stata quella di andare a vedere le mie fidanzate. Sì, insomma, le mie barche da pesca. La seconda chiamare mia moglie e dirle di preparare la stessa cena della settima scorsa che avevamo appena iniziato. Volevo finirla. E così ho fatto». L’ultimo pensiero è per l’amico Antonio. «Lo ringrazio, è un bravo medico, preparato, ha un’umanità che raramente si incontra. E soprattutto è un caro amico a cui adesso sono ancora più grato. Gli ho già detto che a gennaio andiamo in vacanza insieme. Adesso gli toccherà farmi da tutor per sempre».

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