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Сентябрь
2021

Si fa presto a dire smart working

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Con la ripresa d'autunno molte aziende ripensano al «lavoro in remoto», che doveva essere la panacea alle limitazioni imposte dal coronavirus. Ma a un anno e mezzo dall'esperimento, con il moltiplicarsi delle difficoltà economiche per i lavoratori, anche le imprese cercano strade alternative.

Doveva essere una soluzione di emergenza. Invece dopo un anno e mezzo, alla ripresa autunnale, ancora si parla di smart working. L'idea che con la vaccinazione ci sarebbe stato un ritorno alla normalità, con gli uffici di nuovo pieni, è stata solo un'illusione che la variante Delta del Covid si è portata via rapidamente.

Con questo scenario mutevole, le aziende si muovono con prudenza. C'è chi ha deciso di lasciare, fino a fine anno, ai dipendenti la facoltà di scegliere se rientrare e chi ha già contrattato la formula mista casa-presenza: si prevede che in autunno saranno oltre 5 milioni quelli che andranno in ufficio solo due o tre giorni a settimana.
Nel pubblico invece lo smart working è sul viale del tramonto. Improbabile che si torni alla chiusura totale come nel periodo più duro della pandemia. «La cosidetta "remotizzazione del lavoro" non può essere l'inevitabile futuro della maggioranza dei lavoratori» osserva Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt (la Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro).

Basta scorrere i dati del Rapporto annuale dell'Istat dal quale emerge che nel secondo trimestre 2020, in pieno contagio, lo smart working è stato praticato da circa il 14 per cento degli occupati, circa 3 milioni di lavoratori, con punte del 19 per cento, cioè 4,5 milioni di persone. «Percentuali superiori agli anni precedenti ma non tali da far pensare che il lavoro da casa possa sostituire quello in ufficio» commenta Seghezzi. Sono cifre che frenano l'entusiasmo sullo lavoro a distanza a tempo pieno. Inoltre, alcune indagini hanno fatto emergere i limiti dell'attività da remoto quali l'aumento dei carichi di lavoro, il restringimento della vita privata e soprattutto l'aumento dei costi delle utenze. Da uno studio di Adapt emerge che il 58 per cento di chi ha praticato lo smart working preferirebbe una modalità che alterni due o tre giorni alla settimana di lavoro da remoto e il resto in presenza. Solo il 28 per cento lo vorrebbe a tempo pieno.

L'illusione di aver trovato l'Eden lontano dalla scrivania aziendale si è sgretolata all'arrivo delle prime bollette. Trascorrere un'intera giornata in casa significa spendere di più per elettricità e gas. I consumi energetici domestici, che usualmente sono concentrati nella fascia serale, con lo smart working interessano tutte le 24 ore. Nella Relazione annuale dell'Arera (l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) si legge che nel 2020 sono cresciuti del 2 per cento. Un «report» di SOStariffe.it ha calcolato che lo scorso anno, una famiglia ha pagato in bollette 268 euro in più e un single 145 euro. Il modello misto applicato in autunno dovrebbe far scendere i consumi, ma nessuno speri in risparmi significativi. Il rincaro delle materie prime che sta caratterizzando i mercati mondiali spinge le tariffe. Nel trimestre luglio-settembre, l'elettricità è aumentata del 9,9 per cento e il gas del 15,3. E per i prossimi tre mesi si prospetta un ulteriore incremento.

Lo smart working quindi, anche se parziale, comporterà un costo per il lavoratore. L'economista Leonardo Becchetti, ordinario di Economia politica all'Università di Tor Vergata a Roma, è però convinto che il maggior onere energetico sarà compensato dal calo delle spese per gli spostamenti. «I costi di trasporto sono quelli che più incidono sul bilancio familiare. Quanto all'uso del computer, l'abbonamento alla rete è in genere flat e non dipende da quanto la utilizziamo. Certo la qualità della connessione è fondamentale e vanno ridotte al minimo le diseguaglianze di accesso».

Meno ottimista, invece, è il giuslavorista Giuliano Cazzola. «Un conto è l'emergenza, altro discorso è la stabilizzazione del lavoro a domicilio. I sindacati, invece di occuparsi di mense e Green pass, dovrebbero affrontare il problema della valutazione dei maggiori costi del lavoro da remoto. Ci sono poi le questioni dei buoni pasto, che molti privati hanno sospeso, e degli straordinari».

Per l'economista Becchetti «è il momento giusto per voltare pagina. Bisogna avere il coraggio di passare dal controllo della timbratura del cartellino, al lavoro per obiettivi. Chi è in smart working deve poter lavorare quando vuole, senza imposizioni. Non può essere costretto a fare qualcosa in un tempo breve da un superiore che chiama alle 23. Il diritto alla disconnessione è sacro».

Ma concretamente come sarà lo smart working quest'autunno? Le big tech americane si sono mosse per prime, con un occhio all'andamento della pandemia e seguendo i sondaggi. Ha fatto scalpore uno studio dell'Università di Chicago: quattro dipendenti americani su 10 bocciano l'obbligo di rientrare in ufficio full time e sono pronti a cambiare lavoro pur di mantenere il privilegio di lavorare da casa. Una tendenza che sta favorendo tante start-up diventate più attrattive per l'organizzazione flessibile, dei colossi della Silicon Valley.

Una ricerca interna alla Apple ha evidenziato che il 96 per cento dei dipendenti è contrario anche al sistema ibrido. L'azienda di Cupertino ha rinviato il rientro fisico a gennaio 2022. Le preoccupazioni legate alla diffusione della variante Delta hanno fatto slittare la presenza in ufficio anche in Google, Facebook, Amazon e Twitter. Intanto stanno studiando un modello di lavoro agile per quando la pandemia sarà regredita.

Google vorrebbe calibrare gli stipendi in base al costo della vita nel luogo di residenza, con tagli fino al 25 per cento per chi è più lontano dalle sedi. Un'iniziativa già messa in pratica da Facebook e Twitter, che incontra anche il favore dei dipendenti. La società di sondaggi Pollfish, intervistando più di mille lavoratori americani, ha rilevato che il 15 per cento accetterebbe un taglio addirittura del 25 per cento e il 46 per cento rinuncerebbe a un quarto dei suoi giorni liberi, pur di continuare l'esperienza da remoto.

E in Italia? «È un modello che non può essere replicato. La legge vieta discriminazioni di stipendio» dice Cazzola. E Becchetti: «In un Paese dove è sempre stato difficile parametrare i salari al costo della vita locale, lo vedo di difficile applicazione. Anche se un siciliano di un piccolo centro ha un costo della vita quasi il 40 per cento inferiore a un milanese». L'estensione dell'emergenza sanitaria fino a fine anno ha indotto molte aziende a continuare lo smart working più o meno a tempo pieno. Per il prossimo anno però, ci sono già accordi per strutturare la formula ibrida.

Un modello è considerato quello delle Assicurazioni Generali: tre giorni a settimana di lavoro da remoto, con la possibilità di distribuirli anche su base mensile (13 giorni al mese) o con riporto bimestrale ed eccezioni per alcune tipologie di lavoratori. Poi, diritto alla disconnessione e limite alle riunioni in videocall fino alle 18, con pause di almeno dieci minuti tra una e l'altra.

Infine, nessun obbligo di risposta a mail o chiamate aziendali fuori dall'orario di lavoro. In Vodafone, sin da ottobre scorso, è in vigore un accordo che prevede il lavoro agile dal 60 all'80 per cento dell'orario mensile, dotazione a tutti i dipendenti degli strumenti tecnologici, un'offerta per la rete fissa, convenzioni con sconti fino al 30 per cento sulla fornitura di elettricità e gas. In Unicredit, al termine dell'emergenza pandemica, fino a 10 giorni al mese di lavoro agile. Già ora nel grattacielo milanese non ci sono più scrivanie fisse. In Bankitalia, da gennaio, lo standard sarà 10 giorni al mese, massimo 100 all'anno, da remoto.

Nel pubblico invece l'esperienza dello smart working sta per essere archiviata. A fine settembre tutti in ufficio, ha sentenziato il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Il motivo? Un report della Mazziero research dice che se tutti i dipendi pubblici e privati tornassero in presenza, l'economia crescerebbe il 2 per cento in più.

Un tema che si aggancia a quello del Green pass. Brunetta è favorevole all'estensione del certificato negli uffici. Ma forse pesa anche il pregiudizio che il lavoro da casa favorisca i fannulloni. Come dire: signori, la pacchia è finita.




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