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Сентябрь
2021

L'intreccio fra filosofia e vita di Piero Martinetti. Viaggio nella bella Spineto “rifugio dal mondo”

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CASTELLAMONTE. Sono sicuro che questo lungo viaggio nella maestria canavesana appare agli occhi di qualche mio amico o compagno di avventure professionali come una specie di tirare indietro, un rifluire in ambito locale di ambizioni che una volta dovevano essere sembrate maggiori.

E quando provo a condividere il senso di questo lavorio lungo e appartato, di questo accasarmi, ho solo di rado l’impressione di farmi capire: è un po’ come se qualcosa avesse lavorato in profondità in tutti noi, anche di noi artigiani della cultura, come se la visibilità fosse diventato il criterio con il quale siamo disposti a valutare il merito di molti dei nostri sforzi. Ci sono momenti o addirittura periodi in cui si è più vulnerabili e certi sguardi che cadono distrattamente possono esporci a presagi di solitudine.

Perciò questa serenità improvvisa, tutta avvolta dentro una mattina fresca e limpida di fine estate, è un dono che mi arriva enormemente gradito. Mi trovo nel giardino della casa di Piero Martinetti, Spineto di Castellamonte, il “rifugio dal mondo” del filosofo canavesano che è fin troppo facile definire così, come nello slogan di uno spot pubblicitario: «l’unico filosofo italiano a rifiutare di giurare fedeltà al regime fascista nel 1931».

In quella che fu una vera e propria apocalisse della cultura italiana – con soltanto 12 coraggiosi su 1225 docenti universitari – il canavesano Piero Martinetti fu capace di reggere il confronto con la Storia grazie al fatto che si era guadagnato un punto di vista davvero altro sulle cose, un’altezza spirituale che gli consentì di prendere placidamente le posizioni più intransigenti, senza neppure il bisogno di una «disposizione ribelle e proterva».

Un aspetto, questo, che può apparire secondario, pure è quello che i mondi conformi sono meno disponibili a tollerare, trovandosi più a loro agio nel fronteggiare argomenti contrari che non uno sguardo superiore e sereno.

Martinetti nacque nel 1872 a Pont Canavese, ma la vocazione per la filosofia gli aprì sin da subito le porte del mondo, spingendolo a confrontarsi prima con la spiritualità orientale, poi a Lipsia, in Germania, con i nodi salienti del pensiero europeo, e infine, nel 1905, a guadagnarsi la docenza di Filosofia teoretica e morale all’Accademia scientifico-letteraria (poi Regia università degli studi) di Milano.

Quando in quel 1931 il fascismo gli tolse la cattedra, Martinetti da filosofo professionista si stabilì qui e divenne filosofo agricoltore, cioè filosofo due volte: nella terra soffice e grassa d’argilla di Castellamonte, i suoi pensieri si modellarono come sotto la mano insistente di un artigiano, fino a diventare materia così liscia da riflettere luce come fa la ceramica decorata.

«La chiarezza è l’onestà del filosofo», pensava nel suo salotto di pietra, un tavolino e una panca nel bel mezzo del bosco vicino: dove la chiarezza doveva essere una proprietà della buona scrittura, ma anche della buona condotta.

Martinetti a Spineto testimoniava l’una e l’altra, e tesseva spirito, vita e pensiero in un unico grande ricamo senza fine.

Quando questa casa lo accolse non conservava che le tracce della signorilità di un tempo, era una modesta dimora di campagna dove egli non volle mai né luce elettrica né telefono, e in cui i camini vennero murati perché la sua biblioteca preziosa restasse al riparo dal fuoco. Studiava, scriveva, s’interessava del suo podere. E ogni giorno faceva una lunga e riposante camminata:

«Ritorno ora dal solito poggio, dove ho atteso il cadere della sera. Una leggerissima nebbia vela i fianchi della Quinzeina. Il grande silenzio delle cose non è turbato che dal lontano fragore del torrente che scorre nella valle e rievoca l’alta solitudine delle montagne. O eterna e misteriosa natura, perché la contemplazione rende la mia anima immobile e piena di una beatitudine così grande? ».

Con l’aiuto forse di un po’ di suggestione, in questo bosco di castagni che Martinetti stesso aveva piantato, sembra davvero non esserci più alcuna differenza fra pensare e pregaremarco peroni




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