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Сентябрь
2021

Il Green pass in stallo e le contraddizioni in casa Lega

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Il Green pass in impasse. Ma ha tutta l’aria di essere temporanea, e totalmente dipendente dalle nuove alchimie politiche che si stanno giocando – ahinoi… – intorno alla campagna vaccinale.

Con al centro, naturalmente, quel partito di lotta (no-vax) e di governo (pro-vax) che risponde al nome di Lega, e ha dato vita da giorni a un faticoso balletto intorno a una delle misure fondamentali approvate da quell’esecutivo Draghi di cui, come noto, è parte integrante.

Mentre la notizia del giorno consiste nelle perquisizioni effettuate dalle forze dell’ordine nei confronti di alcuni membri di un network di esagitati no-vax e no-pass (alcuni in possesso di armi e oggetti contundenti) che stavano pianificando azioni violente per i prossimi giorni.

Un brutto clima, che si sta facendo assurdamente irrespirabile, e che segnala come intorno al lasciapassare verde si sia ormai coagulata una protesta antagonistica pericolosa per l’ordine pubblico che attendeva, appunto, un innesco, assolutamente al di là del merito delle questioni.

Sicuramente non aiuta il dibattito dell’opinione pubblica la confusione che regna in una certa parte dello schieramento politico, a partire proprio dagli stop and go della Lega.

Dopo le acque mosse dal blitz di Borghi e degli altri no-pass – che Matteo Salvini utilizza quali strumento di pressione nei confronti del governo – si è profilato un accordo. A conferma della tattica leghista «del bastone e della carota», ma anche dell’esistenza di una frattura autentica sul tema all’interno della Lega, effetto, da un lato, della sua presenza nella compagine governativa e, dall’altro, della serrata competizione elettorale in atto nel destracentro tra i partiti populisti.

Con Salvini che si trova in bilico fra la ricerca del voto anche di quella parte degli italiani che esita o non vuole in alcun modo vaccinarsi (con la quale flirta direttamente Fratelli d’Italia) e l’elettorato di più lungo periodo (e maggiormente fedele) composto dai ceti produttivi settentrionali, infastiditi dagli ostacoli frapposti al lavoro dell’esecutivo Draghi.

La Lega ha così trasformato, su richiesta di palazzo Chigi, i suoi emendamenti in sei ordini del giorno (non vincolanti) che hanno ricevuto parere positivo dal governo.

E ha votato alla Camera il decreto legge con una prima estensione dell’obbligo del Green pass ad alcune (limitate) categorie di lavoratori, evitando l’annunciata astensione.

Ma i leghisti erano a ranghi ridotti, e per ottenere questo risultato è stata necessaria la scelta della gradualità da parte di Draghi, e una telefonata da lui fatta direttamente al leader leghista per ammorbidirne la posizione.

Ulteriori ampliamenti dell’obbligo di Green pass sono previsti tra le decisioni dei prossimi giorni, ma il rinvio attuale è stato comunque reso necessario da queste turbolenze interne a uno dei partner della maggioranza e, come precisano dalle parti del governo, dalle trattative in materia ancora in corso con Confindustria e i sindacati.

Il tutto in attesa, come si sarebbe detto un tempo, dell’esplodere delle contraddizioni in seno alla Lega tra l’ala governista e realista del ministro Giancarlo Giorgetti e dei governatori del Nord e quella parlamentare movimentista e ambiguamente antivaccinista che, non per caso, nei nomi dei suoi esponenti si sovrappone in tutto e per tutto a quella no euro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA




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