L’autunno più caldo di BoJo
Il premier inglese si prepara a una stagione difficile. L'economia cresce con forza, ma a causa dell'uscita del Regno Unito dall'Europa non si riescono a trovare figure come muratori, camionisti e camerieri, lavori sottopagati che prima facevano gli immigrati. E poi c'è l'incognita Covid, nonostante il successo della campagna vaccinale. Il vantaggio competitivo di Johnson? Sta nell'opposizione con cui si trova a confrontarsi...
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Qualche soddisfazione gliela dà di certo l'economia in ripresa, ma le previsioni future, in un periodo così difficile, sono inaffidabili come quelle del meteo nella campagna inglese. Certo, BoJo è un ottimista, ma vedere il bicchiere mezzo pieno anche questa volta richiede veramente uno sforzo importante.
Che la situazione si sarebbe fatta complicata, il premier britannico ne aveva avuto sentore fin dal 26 maggio, quando il suo ex amico e braccio destro, Dominic Cummings, da poco dimessosi a causa di incomprensioni con l'amministrazione di Downing Street, durante un'audizione parlamentare di sette ore aveva praticamente distrutto l'immagine del suo ex boss. «Totalmente inadatto a fare il premier», inaffidabile e ondivago «come un carrello della spesa che sbatte da una corsia all'altra»: così l'ex «architetto della Brexit» aveva descritto l'altro componente di una coppia che una volta sembrava inossidabile.
Per Johnson avrebbe potuto essere un brutto colpo, ma l'estate di una nuova normalità stava per iniziare, la gente cominciava infine a liberarsi dalle restrizioni anti Covid come ci si spoglia degli abiti invernali. E Cummings, dopotutto, non era poi quell'esempio di coerenza che voleva far credere. L'economia soprattutto ha dato poi i primi segnali positivi. Adesso, mentre il Tesoriere Rishi Sunak passa le notti a studiare la presentazione del Budget autunnale, la realtà è decisamente più complicata e difficile da decifrare e prevedere.
Nel Paese che attende di sapere cosa uscirà dalla mitica valigetta rossa del ministro delle Finanze, la disoccupazione ha raggiunto in agosto il 4,8 per cento e potrebbe salire fino al 5,4 una volta finiti i sostegni del governo alle imprese, previsti durante la pandemia.
Nonostante ciò l'economia britannica ha fatto registrare la crescita più alta tra i Paesi del G7 nel secondo trimestre dell'anno, passando dal fondo al vertice della lista. Il 12 agosto, l'Ufficio nazionale di statistica ha mostrato un aumento percentuale del Pil del 4,8 per cento che rivela un'economia nazionale inaspettatamente in salute, soltanto il 2,2 per cento al di sotto delle performance pre-pandemia. Le scoraggianti previsioni di un anno fa ora sembrano le fantasie di un esecutivo in preda a una crisi di panico.
Sebbene il governo si ritrovi con il portafoglio più gonfio di quanto si aspettasse, il prossimo autunno sarà, shakespearianamente parlando, ancora «la stagione dello scontento». I tanti disoccupati britannici non bastano infatti a riempire quel milione di posti lavoro attualmente vacanti nel Paese.
«Il sito occupazionale Indeed» racconta Andrew Sentance, ex membro della Commissione di politica monetaria della Banca d'Inghilterra, «rivela che tra aprile e agosto le offerte di lavoro da parte delle aziende sono aumentate del 66 per cento e stanno continuando a salire ora che sono cadute tutte le misure anti-Covid». Si cerca quella manodopera a basso costo che se n'è andata con la Brexit e ora, per lo stesso motivo, non può più far ritorno, visto che i confini restano benevolmente aperti solo per chi guadagna più di 30 mila sterline all'anno. Baristi, camerieri, operai edili, pizzaioli, collaboratrici domestiche, badanti e babysitter, commessi nei negozi, autisti di camion, sono scomparsi dalla piazza nazionale.
Londra è tappezzata da avvisi di offerte di lavoro, ma gli stipendi che andavano bene a italiani e polacchi sono troppo bassi per essere invitanti per i disoccupati di casa. Le aziende invocano deroghe alle regole post Brexit, ma il governo di Johnson tiene duro sulla linea del «prima gli inglesi», convinto che debbano imparare a servire un espresso macchiato o a tirare su un muro.
Certi mestieri, però, non appartengono alla tradizione britannica, così non resta che puntare sulla formazione di massa e pazienza se questa viene fatta dagli europei già residenti.
Se c'è una cosa che il mondo anglosassone ha sempre premiato è l'intraprendenza, quindi ben vengano la prima Pizza academy londinese o le geniali idee degli imprenditori italiani che riciclano come camerieri i disoccupati del mondo dello spettacolo. In una nazione che ha più laureati di quanti desiderasse e somiglia sempre di più all'Italia di dieci anni fa, la differenza sta nella capacità immediata di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro, nelle tasse più basse e nella burocrazia quasi inesistente. Rimane il fatto che in questo momento Londra non è più il fulcro dell'economia mondiale e non è ancora quella Dubai d'Europa in cui aspirerebbe a trasformarsi in futuro.
La «gentrificazione» , quella trasformazione delle zone popolari multiculturali in immacolate aree di pregio, sogno di molti conservatori, è un processo appena iniziato e Johnson si trova a gestire una transizione multipla, accelerata da eventi imprevedibili. Nei mesi a venire il governo sarà costretto a fare i conti con la rabbia della gente comune contro un sistema pubblico impoverito e una sanità devastata dalla pandemia. I medici di famiglia riescono attualmente a visitare soltanto la metà dei propri pazienti e vengono offerte loro 100 sterline all'ora per il lavoro straordinario fatto da casa.
Per ora la politica vaccinale ha frenato i ricoveri, ma la prova del nove sarà il ritorno a scuola per centinaia di ragazzini tra i 12 e i 15 anni ancora non vaccinati, dato che per questa categoria d'età i consiglieri scientifici hanno ritenuto di somministrare le dosi solo a quelli a rischio. Una decisione che ha seccato molto il premier, in cerca di risultati a breve termine. Snobbato dall'alleato americano e attaccato anche sul fronte interno, Johnson cerca di ritagliarsi un ruolo da attore primario nella convocazione di un G7 straordinario sull'Afghanistan, che si è però rivelato deludente. Potrebbe andargli meglio in futuro quando dovrà mantenere la promessa di accogliere 20 mila afghani. Non dovrebbe riuscirgli difficile, dato che nell'ultimo decennio il Regno Unito ne ha rimpatriati 15 mila, più di qualsiasi altro Paese europeo.
Il governo ha già qualche idea per impiegarli in modo utile e sta valutando la proposta di un gruppo di conservatori e autorità delle forze armate che vorrebbe trasformare i militari afghani arrivati nel Paese nei nuovi Gurkha (i soldati nepalesi arruolati come volontari che parteciparono a molte guerre coloniali britanniche) dell'esercito nazionale. Gli altri, probabilmente, si vedranno presto comparire alle casse dei supermercati.
Così questo premier che si sta rivelando senza infamia e senza lode, ma con sette provvidenziali vite come i gatti, potrebbe trarsi d'impaccio per l'ennesima volta e portare il suo partito a una riconferma, se non altro per mancanza di degni avversari.
Keir Starmer, il compassato leader laburista che aveva giurato di far dimenticare Corbyn, è talmente corretto e scontato da risultare invisibile. Dopo aver passato l'estate in tour nel Paese a incontrare gli elettori persi per strada, l'avvocato prestato alla politica conta sul Congresso annuale di Brighton a settembre per uscire dall'ombra. Speranza infranta in anticipo dato che il suo predecessore, espulso dal partito, parlerà negli stessi giorni al Festival alternativo che si tiene in città. La leadership dell'attuale capo laburista non ne godrà. Johnson, nel bene e nel male, sa farsi ricordare e in tempo di elezioni questo conta. Persino per gente pragmatica come i sudditi di sua Maestà.