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2021

La catena delle meraviglie

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Questo articolo è pubblicato sul numero 39 di Vanity Fair in edicola fino al 28 settembre 2021

La parola è di quelle diventate rapidamente di uso comune. Chiunque la conosce. Ma in pochi la sanno spiegare. Bitcoin. È la valuta digitale che in una dozzina di anni, tra impennate e crolli, è passata da un valore vicino allo zero a uno pari a 40.514,81 euro. Stessa difficoltà per la tecnologia che la fa funzionare. Ovvero la blockchain – letteralmente catena di blocchi –, che, come ha titolato un quotidiano qualche tempo fa, può rendere la fiducia alla portata di tutti memorizzando le transazioni (e non solo) in un registro pubblico distribuito in rete che nessuno può modificare senza che gli altri lo sappiano e lo consentano. Sviluppata nei primi 2000 per l’archiviazione e la trasmissione di informazioni, dove ogni record – noto come blocco – è protetto tramite crittografia, negli ultimi tempi ha sedotto settori insospettabili: l’economia, la moda, il calcio, il food.

Senza la blockchain, poi, non esisterebbero gli NFT: è la prima, infatti, ad attestare l’autenticità dei Non-Fungible Token, all’apparenza contenuti digitali intangibili, infinitamente replicabili e uguali a tanti altri, che però diventano in un certo senso unici grazie alla certificazione.

«Dopo gli esordi in cui la blockchain era nota solo per le applicazioni finanziarie delle criptovalute, ci si è resi conto che, essendo a prova di manipolazioni, poteva essere utile a ulteriori ambiti», spiega Gian Luca Comandini, membro della task force blockchain del ministero dello Sviluppo economico. «Alla sua diffusione su ampia scala non manca molto: va infatti a risolvere problemi di costo, velocità, efficienza della gestione dei dati. E oggi i dati sono il nuovo petrolio».

Tra i primi settori a guardare alla blockchain con grande interesse c’è il food. Quella che è considerata la più grande innovazione tecnologica dopo internet trova inaspettatamente applicazione nel pollo del supermercato. In Italia, infatti, viene già utilizzata per tenere d’occhio la catena di approvvigionamento degli alimenti, rendendo così più trasparenti le etichette: il monitoraggio avviene di solito attraverso un codice QR che, una volta scansionato, mostra l’intero percorso dal produttore alla tavola, con la blockchain che garantisce l’inalterabilità delle informazioni inserite a mano a mano che la produzione procede. Questo soddisfa sia i consumatori sia gli stessi produttori di cibo, i quali possono, per esempio, risalire in fretta a un lotto di insalata andato a male invece di bloccare la filiera (è successo a Walmart negli USA). In Europa, tra i più attivi sul fronte foodchain c’è Carrefour, che già permette ai clienti di tracciare alcuni alimenti in vendita nei suoi supermercati ed entro il 2022 vorrebbe applicarla a 300 prodotti.

Anche la musica sta comprendendo il potere della blockchain: rendere più equa la condivisione dei contenuti per i creator grazie agli smart contract, ovvero i contratti digitali in base ai quali le entrate derivanti dall’ascolto dei brani possono essere distribuite automaticamente e senza intermediari. Ecco perché Spotify, nel 2017, ha acquistato la startup blockchain Mediachain, che sta sviluppando una biblioteca multimediale decentralizzata per identificare meglio i titolari dei diritti delle canzoni sulla piattaforma in modo da riconoscere loro le dovute royalty. Lo scorso marzo anche la SIAE ha annunciato lo sviluppo di una piattaforma blockchain insieme ad Algorand, con lo scopo di snellire le gestione del diritto d’autore. Nel frattempo c’è poi chi fa da sé: quest’estate Achille Lauro ha scoperto gli NFT e in futuro potrebbe usarli per mettere all’asta un suo disco prima ancora che esca: chi acquista i Non-Fungible Token diventa il detentore dei diritti di riproduzione, guadagnandoci.

Nel mondo del turismo la blockchain servirà presto a gestire i bagagli, soprattutto nei voli internazionali che passano di mano più volte nel corso del viaggio: l’utilizzo di un database decentralizzato semplificherebbe notevolmente la condivisione dei dati di tracciamento tra i vari operatori coinvolti e diverse startup sono già all’opera per fornire questo servizio alle compagnie aeree nei prossimi anni. Intanto si cerca di capire come sfruttare la blockchain per agevolare il sistema delle prenotazioni: nella sua funzione di registro globale può rendere i pagamenti più semplici e sicuri, evitare intermediari e persino consentire alle assicurazioni di rimborsare immediatamente un passeggero per un volo in ritardo. Senza contare gli usi creativi degli NFT: qualche giorno fa, per l’inaugurazione del suo nuovo hotel Ca’ di Dio, cinque stelle firmato Patricia Urquiola a Venezia, Alpitour ha messo all’asta in NFT tutto l’albergo per una notte. Se lo è aggiudicato un cliente misterioso per un Ethereum, la seconda valuta digitale per capitalizzazione
(circa 2.929,55 euro).

Non può mancare la moda tra gli ambiti che si stanno lasciando sedurre dalla promessa di sicurezza di questa tecnologia. Lo scorso aprile Lvmh, Prada e Richemont (Cartier) hanno unito le forze dando vita all’Aura Blockchain Consortium, il cui scopo è permettere ai consumatori di tracciare la provenienza e l’autenticità dei beni di lusso per tutto il loro ciclo di vita, e al tempo stesso aiutare i marchi a combattere la contraffazione e i mercati paralleli. In pratica chi acquista un capo o un accessorio firmato diventa in grado di verificare in pochi istanti l’origine delle materie prime, registrarsi per i servizi post-vendita – per esempio le riparazioni – e trasferirne la proprietà attraverso un certificato digitale unico e non riproducibile nel caso di un regalo o, perché no, di un nuovo proprietario. La blockchain che ha ispirato i big del fashion nasce dall’incontro con ConsenSys e Microsoft e, sebbene sia privata, si offre al mercato come opera aperta: altri brand, se lo vorranno, potranno aderire al consorzio e proteggere i propri capi con un certificato Aura, che già si annuncia come lo status symbol digitale del futuro.

Se la moda apprezza la blockchain per arginare i falsi, l’artword studia come usarla per aumentare l’accesso globale al mercato e invogliare i collezionisti. Nel luglio 2018, la galleria londinese Dadiani Fine Art ha collaborato con la piattaforma blockchain di investimenti artistici Maecenas per vendere quote frazionarie dell’opera di Andy Warhol del 1980 14 Small Electric Chairs, aprendo di fatto la possibilità ai piccoli estimatori di avere “un pezzetto” del capolavoro del genio del pop. L’asta è stata gestita utilizzando uno smart contract sulla rete Ethereum. Altri casi virtuosi? Da Artory, che offre un registro pubblico dove ogni opera registrata è verificata da partner esperti e assicurata per sempre sulla blockchain, ad Arteïa, che dà ai collezionisti l’opportunità di raccogliere informazioni sui quadri & co. compresi i precedenti proprietari. Lo scopo: competere con le tradizionali case d’asta, consentendo ai meno esperti di vendere o acquistare arte, evitando di pagare commissioni. E gli artisti? A parte gli NFT, in un mondo digitale in cui il furto di immagini 
è spesso un processo a due clic, 
i fotografi possono avere difficoltà a ottenere le royalty. YouPic sta sviluppando una piattaforma in cui registrare e concedere in licenza le proprie immagini attraverso gli smart contract, e agevolare i pagamenti senza intermediari.

È nel calcio, però, l’impatto più sorprendente della blockchain. Si pensa già di sfruttarla per la registrazione degli ingressi alle partite, evitando il mercato illegale e la diffusione di biglietti falsi. I club della Juventus e del Paris Saint-Germain sono stati i primi ad abbracciare questa tecnologia annunciando nel 2018 la partnership con Socios.com, che consente ai tifosi di acquistare dei token (valuta virtuale) delle loro squadre preferite e avere così accesso al merchandising esclusivo o finanche diventare parte di alcune decisioni. Il gioco, insomma, si sta facendo serio: lo dimostra il fatto che sono stati proprio i token che ad agosto hanno permesso al Paris Saint-Germain di pagare parte dell’oneroso ingaggio di Lionel Messi: operazione finanziaria (e di marketing, secondo Bloomberg) che ha reso felice non solo il campione, ma anche i possessori della valuta virtuale della squadra parigina, il cui valore è improvvisamente schizzato verso l’alto.

A proposito di tifosi, la blockchain ne ha uno insospettabile: l’Onu. A luglio ha pubblicato sul suo sito un articolo dal titolo Blockchain e crescita sostenibile, dove ne tratteggia i molti vantaggi. «Poiché è in grado di resistere alla manomissione e alle frodi, può fornirci una registrazione affidabile e trasparente delle transazioni. Ciò è particolarmente importante nei Paesi con istituzioni deboli e alti livelli di corruzione», si legge nel paper, dove viene citato anche il caso del World Food Programme (WFP), l’agenzia delle Nazioni Unite che, distribuendo denaro per scopi umanitari, «ha scoperto il ruolo della blockchain nel garantire che i soldi arrivino a chi ne ha più bisogno».

A questo punto è chiaro davvero a tutti che i casi in cui un registro trasparente e verificabile può tornare utile sono un’infinità. In campo sanitario la blockchain potrebbe consentire a ospedali, medici e utenti di condividere l’accesso ai dati sensibili senza comprometterne la sicurezza e l’integrità. In quello assicurativo sta disegnando l’ascesa della cosiddetta assicurazione parametrica, che si concede automaticamente all’accadere di determinati eventi. Oggi, invece, il processo di risarcimento è in gran parte basato sulla valutazione soggettiva di un perito. Un esempio per chiarire: se dovesse verificarsi un terremoto all’interno di un raggio di 10 chilometri da casa di un contraente, la sua assicurazione gli riconoscerà il premio previsto, non potrà esimersi dal farlo, visto che la polizza sarebbe regolata da uno smart contract ospitato sulla blockchain, dunque a prova di manomissione.

C’è anche chi è convinto che la blockchain possa rivelarsi utile post mortem. La startup giapponese Zweispace sta sviluppando il primo testamento autoeseguibile, con distribuzione automatica dei beni del trust ereditario ai beneficiari dopo la conferma del passaggio, eliminando la necessità di esecutori e battaglie giudiziarie sull’integrità delle ultime volontà. Un’idea che piace già parecchio: «Oggi i testamenti spariscono, vengono modificati e spesso danno luogo a contenziosi», conclude Comandini. «Attraverso il sistema degli smart contract potremmo invece stabilire in vita che una certa cifra si sblocchi quando un erede assolve ai nostri desiderata. E nessun altro sarò in grado di intervenire su questa decisione con un tratto di penna: una volta impresso su blockchain, tutto diventa incorruttibile».

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