Braccianti sfruttati e costretti a vivere tra i rifiuti: due arresti per caporalato a Castellucchio
MANTOVA. «Vessazione, sfruttamente e degrado». Così i carabinieri descrivono la situazione in cui quattro braccianti agricoli erano costretti a vivere in un’azienda agricola di Castelucchio, dove il 22 settembre sono stati arrestati i titolari, due fratelli originari del Bangladesh. L’ipotesi d’accusa è sfruttamento del lavoro. Eccola, la ferocia del caporalato. I quattro braccianti, bengalesi pure loro, vivevano «tra rifiuti, scarti di lavorazioni, sterco di animali e assoluta sporcizia». Al limite della sopportazione, segnalano i carabinieri, intervenuti nell’ambito dei servizi di controllo del territorio coordinati dalla Compagnia di Viadana.
Insieme ai militari della caserma di Castellucchio hanno partecipato all’operazione i colleghi del Nucleo Ispettorato del lavoro di Mantova, con il supporto dei carabinieri Forestali e su indirizzo del Comando provinciale.
Dai successivi accertamenti è emerso che i quattro braccianti erano sì assunti con un contratto regolare, ma anche piegati a carichi e orari di lavoro fuori da ogni regola e misura. Sottopagati, pure, e senza prospettiva alcuna di riposi o ferie per tirare il fiato. Quattro disperati costretti ad accettare tutto pur di sopravvivere. Zero tutele e tanta fatica per coltivare e raccogliere ortaggi di origine asiatica destinati all’esportazione. Questa l’attività dell’azienda condotta dai due fratelli senza scrupoli, decisi a spremere i lavoratori pur di massimizzare il proprio guadagno.
Sprezzanti della dignità e dell’ambiente, i due imprenditori agricoli di 46 e 44 anni, che dovranno rispondere anche del reato di abbandono e deposito in maniera incontrollata di rifiuti speciali aziendali, pericolosi e non. Rifiuti che venivano pure bruciati. In particolare, i carabinieri hanno trovato numerosi pneumatici, vecchi elettrodomestici, batterie per motori, materiale plastico, parti di attrezzature agricole, prodotti in polipropilene e scarti aziendali, sparsi su una superficie di circa 3.500 metri quadrati, ora sotto sequestro.