Anche commesse e badanti tra i mestieri gravosi: si va in pensione a 63 anni
UDINE. Dalle commesse alle badanti, dai falegnami ai benzinai, dagli insegnati di scuola elementare ai forestali. La graduatoria dei lavori gravosi, quelli che consentono di anticipare la pensione a 63 anni d’età e 36 di contributi, non comprende solo le attività svolte all’aperto con qualsiasi condizione meteorologica, ma anche quelle svolte all’interno come i cassieri.
L’elenco si articola in 92 classificazione e un numero di mansioni passato da 65 a 203. In questo puzzle mancano i bidelli che inizialmente sembravano presenti.
Nelle ultime ore tutti vorrebbero consultare l’elenco, ma la Commissione per i lavori gravosi si è guardata bene dal renderlo pubblico. Il documento è stato consegnato al ministro del Lavoro che lo trasmetterà al Governo.
Nel frattempo le organizzazioni sindacali plaudono all’iniziativa, mentre gli imprenditori analizzano con un altro occhio le ricadute del provvedimento. Gianni Arteni, il decano dei commercianti friulani, a esempio, pur rispettando il lavoro della Commissione, non può evitare di chiedersi se fare la commessa sia davvero un lavoro gravoso. «Parlare di lavoro gravoso mi pare eccessivo, lo faccio da tutta la vita. A differenza degli operai che asfaltano le strade nei fumi del catrame, sotto il sole, noi – sottolinea il commerciante – lavoriamo al coperto, qualche motivo di stress ci sarà pure come avviene in ogni lavoro. Se ritengono che questa sia una buona cosa mi adeguo».
E mentre Stefano Cattarossi della Cisl preferisce rinviare ogni commento a quando avrà in mano l’elenco definitivo, il segretario regionale della Cgil, Villiam Pezzetta, pensando alla riforma delle pensioni, va oltre l’Ape sociale. «Quota 100 – ricorda Pezzetta – è stata l’unica misura che ha consentito, negli ultimi tre anni, una flessibilità in uscita ammorbidendo i criteri della riforma Fornero, i più severi d’Europa». Secondo la Cgil «l’allargamento delle mansioni gravose per l’accesso ad Ape social, da non confondere con i lavori usuranti, potrà contribuire all’ampliamento della platea di beneficiari della misura, che ha avuto un impatto molto marginale sia a livello nazionale che in regione, dove tra il 2017 e il 2020 le pensioni liquidate con Ape social sono state solo 1.400, di cui non più di 500, stimiamo, relative a domande per mansioni gravose».
La Cgil propone infatti «una flessibilità in uscita a partire da 62 anni e per l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi: solo così si potrà rispondere alle centinaia di migliaia di lavoratori, in particolare donne, che faticano a maturare i requisiti d’età e di anzianità spesso con occupazioni precarie e il rischio di rimanere in un limbo privo di coperture reddituali».