Vino e olio senza difese
Le vigne e gli ulivi italiani hanno un nemico: l'Europa. Se a pallone abbiamo vinto il titolo continentale, quando dal campo si passa ai campi gli altri vogliono la rivincita. È partita la vendemmia sotto un pessimo auspicio: il via libera della Commissione di Bruxelles al Prosek croato. Un vino dolce trascurabile per quantità e qualità, ma che rischia di essere una bomba a orologeria piazzata sotto le nostre cantine e - più in generale - di devastare il nostro agroalimentare.
Il tema è quello della concorrenza sleale e se l'Europa consentirà che le nostre denominazioni vengano aggredite sono dolori. Siamo campioni assediati. Restando al Prosecco ci sono in gioco oltre 3 miliardi di fatturato, di cui due terzi all'estero che issano le bollicine veneto-friulane in cima al mondo per quantità vendute (oltre 600 milioni di bottiglie), con una vendemmia che promette in tutta la zona da Asolo a Valdobbiadene, passando per la piana di Livenza, una buona qualità delle uve ma poco raccolto. Ci si sono messi prima il gelo, poi la siccità infine le grandinate a falcidiare le vigne, l'uva rimasta è buona e basta ad alimentare un mercato che è certo in ripresa ma non è ancora tornato ai livelli pre Covid.
Il punto nevralgico però è l'aggressione che le nostre produzioni subiscono sui mercati esteri. Il sottosegretario all'Agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio, ha chiamato a raccolta il sistema vino per fare fronte comune contro la pretesa croata e la complicità di Bruxelles, ma il tema è molto più ampio. Centinaio lo ha detto chiaro: la nuova Pac (Politica agricola comunitaria) rischia di penalizzare la nostra agricoltura e l'agroalimentare. I nemici sono la burocrazia e il tentativo di smontare il primato delle produzioni tricolori che quest'anno sfondano i 50 miliardi di fatturato estero, portando per la prima volta in positivo la bilancia commerciale e dei pagamenti nel settore agroalimentare. Perciò Centinaio pensa a una task force per difendere tutte le nostre denominazioni - va ricordato che l'Italian sounding, cioè il prodotto simil italiano, vale altri 100 miliardi - anche in previsione dell'assemblea Onu dedicata al cibo, che si annuncia come uno snodo pericoloso per noi.
La dieta mediterranea sarà messa in discussione e l'Oms ha già detto che sponsorizzerà il Nutri-Score, la famosa etichetta a semaforo, che penalizza tutto il made in Italy e perciò piace tanto alle multinazionali della nutrizione, e di fatto mette al bando vino e olio. Perché l'Italia paga un eccesso di successo. Un successo - come dice Luigi Scordamaglia consigliere delegato di Filiera Italia - che fa invidia a molti, ma non è conquistato una volta per tutte. Anzi.
Un pericolo che vede anche Sandro Boscaini, mister Amarone e presidente di Federvini, che dà una duplice lettura del momento: «Abbiamo in parte superato le difficoltà del mercato dovute al Covid, ma non siamo ancora fuori dalla crisi; il pericolo maggiore viene da molti tentativi che si stanno facendo per condizionare il consumo del vino. L'idea dell'Europa d'imporre le etichette dissuasive è folle, l'idea di dare il via libera al vino dealcolato senza proteggere la specificità delle denominazioni è altrettanto pericolosa. Siamo in un momento molto delicato anche guardando alla vendemmia che ci darà meno uve, anche se l'annata dal punto di vista qualitativo è buona».
Ma se perdere la leadership produttiva in quantità (lo scorso anno ci siamo attestati sui 46 milioni di ettolitri, quest'anno saranno almeno il 15 per cento meno e la Francia potrebbe sorpassarci ma vale solo per la statistica) non conta molto, ciò che è invece impellente è rafforzare la tenuta del sistema vino, la presenza italiana sui mercati esteri, recuperare consumo e prezzo.
Renzo Cotarella, direttore generale della Marchesi Antinori, il più antico e conosciuto gruppo vitivinicolo italiano nel mondo, affronta due problemi: il primo la vendemmia, il secondo il mercato. «Per quel che riguarda la vendemmia diciamo che è disomogenea: in Maremma abbiamo uve molto croccanti, nel centro della Toscana ci sono decisi cali di quantità, in Piemonte si è sofferta la siccità, in Franciacorta le grandinate hanno fatto danni, in Umbria si raccoglierà molto meno, ma sotto il profilo della qualità attesa le previsioni sono più che buone. È comunque un'annata difficile. Ma lo stesso andamento vale per il mercato: i grandi vini non hanno sofferto, i vini di fascia media sono stati falcidiati dal Covid e dobbiamo sia all'estero che sul mercato interno recuperare quote di mercato e redditività. Certo, passato il lockdown abbiamo respirato. Se misurassi l'andamento atteso in futuro dagli ultimi mesi direi che va tutto benissimo, ma sappiamo che è una ripresa fragile e va consolidata. Anche perché essendo noi i primi, gli altri cercano di soffiarci il posto».
Il punto è se si fa abbastanza per difendere il valore vino, pari a quasi 15 miliardi di fatturato, di cui 6,3 dall'esportazione, con 1,2 milioni di occupati diretti. Senza contare l'indotto e l'enoturismo che è stato almeno quest'estate un parziale ammortizzatore ai danni subite dalle aziende per colpa della pandemia.
Marco Caprai, l'uomo che ha fatto diventare il Sagrantino di Montefalco un vino di culto a livello mondiale, non nasconde che il «sistema vino deve fare uno scatto in avanti. Dobbiamo presidiare i mercati e rilanciare sull'export, bisogna che il Paese si renda conto della centralità di questo settore, serve sostegno economico alle aziende, chiarezza in Europa e ripresa del consumo interno». Secondo Caprai, è un anno decisivo: «Non tanto per la vendemmia scarsa, perderemo un 20 per cento di prodotto anche se la qualità attesa è buona, quanto per restituire protagonismo economico all'agricoltura e alla viticoltura in particolare, e incoraggiare l'export delle nostre bottiglie». Va detto che il settore vino è rimasto privo per due anni del Vinitaly, tutte le manifestazioni sono state azzerate e la vendita online, che pure ha ammortizzato la crisi, non è sufficiente a compensare il vuoto di domanda causato dal Covid sia sul mercato interno sia su quelli esteri.
La Wine Week di Milano dal 2 al 9 ottobre sarà il primo termometro per misurare la temperatura delle cantine. Acutamente Boscaini ha osservato: «Abbiamo prodotto le stesse bottiglie per due anni senza avere mercato, abbiamo di fatto finanziato i nostri clienti, ma così il sistema non regge».
Un tema al centro anche dei produttori di olio extravergine di oliva. Che vivono una situazione speculare a quella del vino. La siccità ha stressato le olive e ci si aspetta meno prodotto anche se sarà eccellente perché più concentrato. Il fatto è che mentre noi produciamo sempre meno (quest'anno ci si attende di arrivare a 250 mila tonnellate, fatturiamo 3,4 miliardi di cui 1,2 dall'estero ma importiamo quasi il 50 per cento dell'extravergine) il mondo continua a produrre (previsti 3,3 milioni di tonnellate) e noi importiamo sempre di più.
Tutto questo però non induce a un ripensamento della filiera e c'è un progressivo abbandono degli uliveti per la scarsa redditività; senza contare che la xylella ha dimezzato la produzione pugliese (di gran lunga la regione leader) e non smette di avanzare: se ne sono viste tracce anche in Toscana.
Però c'è chi va controcorrente. «È un settore sul quale conviene scommettere» dice Matteo Frescobaldi. «E noi siamo l'esempio forse migliore visto che accanto alla produzione di vini di alta qualità abbiamo deciso di sviluppare un settore dedicato all'extravergine. I Frescobaldi sono stati i primi a lanciare a livello mondiale un olio di eccezionale qualità che condensa in sé il vissuto positivo del brand del casa vinicola, la fascinazione dei nostri territori, le proprietà salutari e gastronomiche di questo che è l'alimento perfetto».
Forse bisognerebbe spiegarlo anche a chi ha inventato il Nutri-Score che all'extravergine dà semaforo rosso! Frescobaldi è a capo del settore extravergine di un gruppo che in tutte le aziende ha piantato ulivi. «Lo abbiamo fatto con tre diversi sistemi di allevamento. Il tradizionale, perché l'ulivo è valore aggiunto di paesaggio e incrementa anche quello percepito del vino, l'intensivo e lo specializzato. Ricaviamo 100 mila litri d'olio che vendiamo con ottima performance economica su tutti i mercati del mondo».
Probabilmente questa è la strada: cercare nella qualità la reddittività, cercare nel brand Italia il valore aggiunto. Tra un paio di settimane comincia il raccolto: per l'extravergine è una nuova scommessa.