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Сентябрь
2021

Fede & finanza si fermano a Capua

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Nella città campana l'Istituto per il sostentamento del clero, tra i più ricchi d'Italia, è gestito dal presidente della Banca di credito cooperativo di Terra del Lavoro, partecipata a sua volta dalla Curia. Un conflitto d'interessi vietato da Vaticano e Bankitalia.


Se Cristo si è fermato a Eboli, Jorge Mario Bergoglio - più modestamente - non è andato oltre Capua. Dove sembra non far proseliti l'appello accorato del Pontefice a tenere separata quella doppia «f» che tanti disastri ha provocato, soprattutto negli anni Ottanta, nelle michelangiolesche stanze del Vaticano: fede e finanza.

L'arcivescovo di Capua, Salvatore Visco, non prova alcun imbarazzo, evidentemente, nello strano intreccio che lega il locale Istituto di sostentamento del clero, tra i più ricchi d'Italia, alla Banca di credito cooperativo di Terra di Lavoro. Il cui presidente, Roberto Ricciardi, è anche il direttore generale del medesimo Ente ecclesiastico.

Una sovrapposizione di ruoli che non dovrebbe far piacere nemmeno a Bankitalia, sempre particolarmente vigile sul pericolo di influenze esterne rispetto all'autonomia dei centri finanziari. E che resta ancor più urgente da chiarire considerato che l'Istituto, che incassa l'8 per mille e gestisce un immenso patrimonio immobiliare, risulterebbe tra i primi tre soci della Bcc grazie a un cospicuo investimento.

Sul sito della banca c'è un lungo e articolato paragrafo sui conflitti di interesse in cui si legge che: «Tali disposizioni mirano a presidiare il rischio che la vicinanza di taluni soggetti ai centri decisionali di una banca possa compromettere l'imparzialità e l'oggettività delle decisioni relative alla concessione di finanziamenti e ad altre transazioni nei loro confronti, con possibili distorsioni nel processo di allocazione delle risorse, esposizione della banca a rischi non adeguatamente misurati o presidiati, e altri potenziali danni».

La domanda allora è: esiste un conflitto di interessi rispetto al doppio incarico di Ricciardi? E ancora: perché un Ente che dovrebbe avere come missione unica ed esclusiva il sostegno ai sacerdoti e alle opere di bene sente l'esigenza di comprare quote di un istituto di credito? Le alte sfere della Città di San Pietro ne sono a conoscenza? E come mai tollerano questa anomalia?
Soci della banca sono pure tantissimi sacerdoti del Casertano. Come don Gianni Branco, presidente della cooperativa sociale «Città di Irene», che si trova a Capua.

Don Gianni è il fratello del sindaco della città, Luca Branco, eletto in una coalizione di centrosinistra nel giugno del 2019. Secondo alcuni, la fascia tricolore sarebbe incompatibile ai sensi dell'articolo 61 del Testo unico degli enti locali - con consequenziale scioglimento del consiglio comunale - in quanto l'amministrazione comunale ha affidato, nel gennaio 2020, alla cooperativa del fratello del sindaco un appalto da 220.000 euro per i servizi di accoglienza per i richiedenti asilo. Ai quali si aggiungerebbero altri 138.000 euro, per un ulteriore bando prorogato nel giugno di quello stesso anno, di cui però si sarebbero perse le tracce nell'albo pretorio.

Recita infatti la disposizione normativa: «Non possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di Provincia coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore». Socio della Banca di credito cooperativo è anche don Filippo Melone, giudice del tribunale regionale della Sacra Rota e già presidente dell'istituto diocesano di Capua in cui mantiene un piede come responsabile tecnico. Suoi fratelli sono Mario ed Enzo Melone, entrambi ex sindaci di Casagiove, città dell'entroterra casertano.

Arriviamo così a un altro snodo della storia: il rapporto tra l'Ente ecclesiastico e la politica. Il vice direttore dell'Istituto diocesano si chiama Enrico Petrella ed è il sindaco di Grazzanise, altro centro di Terra di Lavoro. Nel consiglio di amministrazione dell'Ente troviamo, oltre al presidente don Pietro Catucci e al numero due, il professor Marino Di Benedetto, una delle pochissime voci critiche che si leva contro questo miscuglio di rapporti incrociati, padre Giuseppe Centore. Suo fratello è Eduardo Centore, carabiniere ed ex sindaco di Capua prima di Branco.

Dipendente dell'Istituto, addetto all'ufficio protocollo, è invece Pierfrancesco Morrone, ex consigliere comunale di Portico di Caserta, finito sotto processo per un presunto abuso d'ufficio insieme ad altri 16 imputati. Possibile che, in una stessa struttura - nata con ben altri (e alti) obiettivi - si concentrino legami così potenti con finanza e pubblica amministrazione? E, dando per scontate la correttezza e la buona fede di tutti, com'è possibile che nessuno si sia interrogato sulla necessità di trasparenza per regolare il funzionamento di uno strumento radicato e ramificato nel territorio come l'istituto diocesano?

Nella confinante diocesi di Caserta, invece, qualcosa è stata fatta per spezzare la catena delle connessioni. La curia del capoluogo ha vietato categoricamente ai sacerdoti di concedere locali ecclesiastici per appuntamenti elettorali. «C'è una compromissione indecente tra Chiesa e cosa pubblica», spiega a Panorama un ex amministratore del Casertano. «Sotto elezione, i preti rastrellano voti per candidati che, in un modo o nell'altro, ricambieranno il favore. Ci sono enormi centri di potere che determinano e orientano le scelte della politica contando su leve clientelari come l'assegnazione di alloggi e la disponibilità di denaro. Un sistema che si alimenta da solo e che pochi hanno la voglia e il coraggio di far saltare». Un po' come fece Gesù coi mercanti nel tempio.




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