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Сентябрь
2021

No vax, venetisti, salviniani: ad un anno dal trionfo Zaia sotto attacco nei social

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VENEZIA. Un anno fa, esaurita la prima ondata di contagi e lockdown, l’elettorato veneto celebrava il «rito di ringraziamento» (l’espressione sagace è del politologo Paolo Feltrin) tributando al timoniere Luca Zaia il 76,7% dei voti.

Un plebiscito senza precedenti in settant’anni di storia del regionalismo italiano e una popolarità, quella del governatore, prossima al culto della personalità.

«Presidente, ci salvi lei», la supplica delle delegazioni peregrinanti all’unità di crisi a Marghera nei giorni dell’emergenza, con l’audience stellare dei punti stampa in diretta tv e la gratitudine della popolazione lesta a versare in fiducia 60 milioni di euro (sic) sul conto corrente solidale della Regione.

l’opposizione relegata ai margini

L’opposizione all’assemblea legislativa del Veneto? Non pervenuta. Con il centrosinistra di Arturo Lorenzoni a trazione dem crollato ai minimi storici e il M5S scampato all’estinzione totale grazie a una sentenza. Benvenuti nello Zaiastan, il refrain dei media nazionali

ACCUSE DI SUDDITANZA E TRADIMENTO

Certo minoritari- l’indice di gradimento zaiano, rilevato da istituti indipendenti, non teme confronti nel resto del Paese - eppure riflesso di un unanimismo incrinato, che qua e là cede il passo alla disillusione e al rancore. La schiera più radicale è costituita da quanti si oppongono alle vaccinazioni e al Green pass, feroci nell’imputare al Luca di Palazzo Balbi il «tradimento» della linea della volontarietà in favore delle misure «liberticide» varate da Roma. «Io ho sempre espresso contrarietà all’obbligo vaccinale ma nella mia veste istituzionale ho il dovere di garantire l’antivirale a quanti desiderano immunizzarsi», la replica del governatore. Che non convince affatto i detrattori, persuasi che il suo (indubbio) impegno nella campagna vaccinale, i ripetuti appelli alla popolazione e il sostegno al “passaporto sanitario” ne comprovino l’adesione sostanziale alla «dittatura sanitaria» in atto.

SPUNTANO ANCHE FORCONI E FASCISTI

Un capo d’accusa corredato, qua e là, da minacce di morte (talvolta di marca neofascista) culminate in denunce e inchieste. Meno bellicosa, ma ugualmente determinata sul versante della critica politica, è la corrente d’opinione che lamenta la paralisi totale del percorso autonomista a quasi quattro anni dal referendum che ne sancì il via libera popolare; un’apertura di credito non ripagata - è la contestazione - né valgono le attenuanti del ciclone Covid o dell’“avversa” stagione giallorossa del Conte bis: la Lega, ribattono i critici, ha governato all’inizio della legislatura e oggi è nuovamente parte dell’esecutivo ma nulla di quanto promesso si è tradotto in realtà.

Musica per le orecchie delle frange venetiste e secessioniste - rafforzate nell’occasione da qualche “forcone” a caccia di rivincite- irriducibili nel denunciare l’asservimento fedifrago a Roma.

NON BASTASSE, C’è IL FUOCO AMICO

È tutto? Non proprio. Agli odiatori seriali del web fa eco il “fuoco amico” in seno al partito ormai platealmente diviso tra i fedelissimi del segretario federale Matteo Salvini - che in Veneto conta personalità quali il coordinatore Alberto Stefani e i parlamentari Massimo Bitonci e Andrea Ostellari - e gli Zaia boys, leggi consiglieri regionali e sindaci, allergici alle tentazioni populiste e favorevoli piuttosto all’approccio pragmatico incarnato dal ministro Giancarlo Giorgetti e dai governatori nordisti. È un duello sotterraneo, mai dichiarato anzi puntualmente smentito dai proconsoli, che guarda all’imminente stagione congressuale (entro l’anno i militanti eleggeranno i segretari di sezione) destinata a sancire - è la promessa di via Bellerio, almeno - la fine dei commissariamenti e il “ripristino della democrazia” nel partito. Ad auspicarlo è senz’altro Roberto “bulldog” Marcato, l’assessore allo sviluppo beniamino della base.

GLI ALBERI DEL BULLDOG MARCATO

Che non smentisce la volontà di candidarsi alla segreteria veneta ma ridimensiona la portata dei veleni: «La minoranza che contesta il presidente Zaia alza la voce, i tantissimi che ne condividono l’operato tacciono, è la solita storia della foresta dove un albero che cade fa più rumore dei mille che crescono». Tutto qua? «Vabbé, allora diciamo che la Lega è una forza di popolo non un partito di plastica, noi facciamo politica con la passione non con i clic a distanza dai salotti radical chic. E allora capita di scornarsi ma è questo il sale della democrazia».




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