Comandava il clan Il boss Dj Boogye chiede che lo Stato paghi la sua difesa
Daniele Predieri
È l’unico a parlare, al processo, dj Boogye, Emmanuel Okenwa, 51 anni, il capo degli Arobaga/Vikings in città. Non lo fa per difendersi o fare dichiarazioni: interrompe i giudici e in video conferenza dal carcere di Catanzaro dove è detenuto: «Chiedo di far richiesta di gratuito patrocinio».
Stato che lo processo
Insomma, il boss della mafia nigeriana (questa l’accusa che dovrà essere dimostrata) chiede che, come suo diritto, a pagare la sua difesa sia lo Stato, lo stesso che ora lo sta processando, per volerlo condannare vista la mole di accuse contro di lui. Da ieri mattina lo Stato è il tribunale di Ferrara (giudici Lepore, Martinelli, Migliorelli) a processare lui ed altri 16 membri del clan Vigiks/Arobaga nel primo processo alla “mafia nigeriana” in città, che si celebra a Ferrara, uno dei pochi in regione. Sotto accusa 17 imputati, quelli rimasti dalla prima selezione (altri già condannati all’udienza preliminare) per una tra le accuse più gravi del codice penale: associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzato al traffico di droga, alle estorsioni e agli agguati, le violenze in zona Gad e non solo, per anni con risse, regolamenti di conti, botte e sangue. Così, ieri mattina, collegati dalle carceri di mezza Italia, in videoconferenza, si sono presentati tutti, rispondendo all’appello da Palermo, Spoleto, Catanzaro, Potenza, Bologna Prato, Parma e Voghiera, mentre solo tre imputati ai domiciliari e uno solo libero hanno rinunciato ad essere in aula: così, dopo l’appello, è partito il processo contro il clan che ha dominato e gestito il traffico di droga in città, diventata uno degli Hub dei traffici di cocaina e altro.
Ad accusarli, il pm della dda di Bologna, Roberto Ceroni, che ha coordinato l’indagine assieme alla procura di Ferrara (pm Isabella Cavallari) condotta dalla Squadra mobile locale con le squadre mobili di mezza Italia che portarono al maxiblitz dell’ottobre 2020 con una sessantina di arresti tra Torino, Padova, Ferrara. E al processo, fatto straordinario che dà il segnale di ciò che ha rappresentato il dominio del clan, si sono costituiti il Comune di Ferrara e una delle vittime dei ricatti proprio di Boogye: la donna, nigeriana, venditrice ambulante e rifugiata aiutata dalla Caritas, subì i ricatti di dj Boogye che le chiese il “pizzo” di 600 euro per vendere vestiti usati e bevande: se non avesse pagato, diceva Boogye «mando i miei uomini a violentarti», perché «io sono il capo degli Arobaga» e «non puoi vendere senza il mio permesso».
Una donna contro
Oggi c’è anche lei a processo con l’avvocato Enrico Segala, per difendere i suoi diritti – spiega il legale – ma soprattutto dar coraggio a chi come lei, nigeriana, ha denunciato il clan dei nigeriani. Per il Comune (avvocati Forlani e Vaccari) da ieri parte civile, presente in aula il vicesindaco Nicola Lodi. Quindi, dopo le eccezioni (oltre 4 ore in aula), il tribunale ha stabilito di periziare le trascrizioni (mercoledì giurerà il perito), intercettazioni alla base delle accuse che evidenziamo i legami – ritenuti mafiosi – tra i diversi imputati al clan. Difese che eccepiscono questo sostenendo trattarsi di episodi singoli contestati (le cessioni di droga), che non sussiste il legame associativo mafioso. Nel caso di Boogye, il suo legale Laura Ferraboschi spiega che la sua posizione è frutto di accuse fantasiose: se fosse un boss non avrebbe le necessità economiche che ha, chiedendo il gratuito patrocinio. Lo stabilirà il processo: prossime udienze l’1 e 15 dicembre, poi dal 19 gennaio, tutti i mercoledì ad oltranza, fino al verdetto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA