La linea di Patuanelli: «Progetti condivisi fra Cinquestelle e Pd alle amministrative»
Il ministro all'Agricoltura: «A Trieste andiamo separati con i dem, ma non c’è frattura. Nelle grandi città possiamo costruire percorsi comuni»
TRIESTE Una spinta al suo Movimento 5 stelle verso il campo del centrosinistra, Stefano Patuanelli, l’ha sempre data. Anche ai tempi della Lega. E adesso che le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Pd «provocano un terremoto», come fotografa lo stesso ministro dell’Agricoltura, «va consolidato ancora di più il rapporto costruito finora con Pd e Leu. A prescindere – aggiunge – da quella che sarà la scelta dei Dem per la loro futura segreteria». Un asse che deve rafforzarsi «nei territori, in vista delle elezioni amministrative», sostiene Patuanelli. E all’interno del governo, dove a preoccupare è «la necessità di trovare al più presto un equilibrio tra le volontà della politica e le volontà dei tecnici, o l’incidente parlamentare – avverte – è dietro l’angolo».
Equilibri che vanno trovati in fretta per il Recovery plan. Preoccupato dalle voci di un coinvolgimento di consulenti privati per riscriverlo?
«Prendo atto di quanto dichiarato dal ministero dell’Economia, che sostiene che queste consulenze non coinvolgano il Recovery. Dopodiché, mi piacerebbe sedermi al tavolo per discutere di cosa sta succedendo intorno a questo piano. Mi auguro si apra un confronto già nelle prossime ore».
Teme stravolgimenti?
«Se si volesse stravolgere un piano già condiviso dalla maggioranza che sosteneva il Conte II, i tempi non ci sarebbero. È in discussione in Parlamento e non credo si possa evitare questo passaggio».
I tempi per il decreto Ristori, ribattezzato Sostegno, sono stati sforati da un pezzo...
«È vero, abbiamo 32 miliardi fermi dal 21 gennaio, ma se c’era fretta allora ce n’è ancora di più adesso, perché c’è gente che soffre. Non credo che il problema sia cambiare il nome del decreto, ma apportare modifiche necessarie a dare sollievo a famiglie e imprese. Anche su questo ci aspettiamo confronto in tempi rapidi. Ho visto però circolare delle bozze e, da ministro dell’Agricoltura, non posso accettare che tutto il settore agricolo rimanga tagliato fuori dai ristori».
Questa maggioranza così ampia, ma costretta a trovare un punto di caduta, provoca rallentamenti?
«Più ampio è il perimetro di una maggioranza, più stretta è la via per arrivare all’obiettivo politico. Questo rischio c’è».
Il fronte Pd-M5S-Leu è quello che vive con più difficoltà la permanenza nel governo.
«Il Movimento 5 stelle e il Pd stanno affrontando un’evoluzione e una ricostruzione interna, con delle difficoltà comprensibili, ma c’è un rapporto che si è consolidato con la guida di Nicola Zingaretti. Nicola è una persona per bene, che si è fatta guidare dagli interessi del Paese, e con cui abbiamo lavorato sempre bene».
Adesso che Zingaretti non c’è più, nel Pd c’è chi chiede di recuperare la “vocazione maggioritaria”. Insomma, qualcuno vuole tagliare le gambe all’alleanza con il M5S.
«Posizioni lecite, ma dal mio punto di vista profondamente sbagliate. Non è quella la modalità con cui affrontare il percorso che abbiamo davanti. Ho la speranza che si inizi a lavorare insieme in modo più coordinato, anche nel rapporto culturale tra questi due mondi. Nella proposta politica di Pd, M5S e Leu, ci dovranno essere punti comuni su cui stringere un accordo o un’alleanza, come invita a fare Grillo».
Il primo banco di prova saranno le amministrative. A Roma e nella sua Trieste, però, correte divisi. Come si conciliano le due cose?
«Non è rinunciabile la candidatura di Virginia Raggi, perché ha iniziato a risolvere i problemi della città e deve dare continuità al suo lavoro. A Trieste con il Pd andremo separati, ma non c’è stata frattura, è stata una decisione condivisa. Ci sono poi altre 4 grandi città – Torino, Milano, Napoli e Bologna – dove penso ci sia la possibilità di costruire progetti insieme. A partire dai temi, come la Transizione ecologica, che vanno tradotti in azioni».
Un manifesto politico lo presenterà anche l’associazione Rousseau di Davide Casaleggio. È un addio?
«Penso che questa iniziativa, per altro non concordata, non lasci dubbi. C’è la certezza che da parte di Rousseau si stia costruendo un percorso parallelo al nostro, ma se la volontà di Davide è quella di fare politica, semplicemente, lo dica. In questo momento mi sembra evidente che le nostre prospettive non coincidono, ma non è una questione personale e l’intenzione del Movimento resta quella di chiarire e regolare questo rapporto».
Giuseppe Conte è l’uomo giusto per sciogliere i nodi?
«Sarà il leader del futuro per il Movimento e può essere una figura in grado di tenere insieme anche posizioni e anime diverse. Lo abbiamo visto in occasione delle espulsioni delle ultime settimane: nessuno dei fuoriusciti ha mai mosso una critica contro di lui».
Leader unico o con una struttura a supporto?
«Lui sarebbe il capo politico, ma auspico che al suo fianco ci sia comunque una governance collegiale che lo supporti, che aiuti nei rapporti con i territori e con gli attivisti, e che dia una mano nel costruire la visione futura del Movimento». —