Pistoia, commercialista arrestata: ecco le accuse

AGLIANA. Frode processuale e depistaggio, favoreggiamento della bancarotta fraudolenta, interesse privato del curatore fallimentare, induzione indebita a dare o promettere utilità, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

È con queste accuse che  all’alba di venerdì 12 marzo è finita agli arresti domiciliari la commercialista pistoiese Silvia Sarno, 51 anni, con studio ad Agliana.

A disporre la misura cautelare – al termine delle indagini condotte dagli investigatori dalla sezione di pg della guardia di finanza in forza alla procura e dei colleghi del comando provinciale – è stata la gip Patrizia Martucci, su richiesta del pm Linda Gambassi. I domiciliari con braccialetto elettronico sono stati ritenuti necessari al fine di scongiurare il rischio di inquinamento delle prove e quello della reiterazione dei reati a lei contestati.

Secondo il giudice delle indagini preliminari, Silvia Sarno – difesa dagli avvocati Giuseppe Castelli e Andrea Niccolai – non solo avrebbe violato i propri doveri d’ufficio di pubblico ufficiale, ma anche cercato di sviare le indagini, tentando di condizionare i testimoni, con “sfrontatezza e impudenza”, tradendo la fiducia dell’autorità giudiziaria. Comportamento che, secondo il gip, potrebbe ripetersi in quanto la professionista è attualmente curatore – per conto del tribunale di Pistoia – in altre tre procedure fallimentari tutt’ora aperte.

Il fallimento – poi sfociato nell’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta – che ha portato all’arresto, è quello della Nerolegnami società agricola srl di Piteglio, decretato nel luglio 2016 dopo che l’azienda aveva cessato la sua attività nel 2011.

Secondo gli inquirenti, la commercialista pistoiese, che era stata nominata curatore dal tribunale, avrebbe nascosto al giudice le distrazioni di beni e di denaro che il titolare avrebbe portato a termine quando si era accorto che, soprattutto a causa dell’esposizione bancaria, la sua azienda era destinata a fallire. Nella propria relazione, al contrario, aveva messo nero su bianco di non aver riscontrato alcun comportamento da parte del titolare tale da configurare il reato di bancarotta fraudolenta, dichiarando che l’azienda aveva cessato ogni attività dal 2010, pur senza procedere alla messa in liquidazione, e che il titolare aveva collaborato pienamente alla ricostruzione delle vicende societarie.

Fatto sta che le successive indagini della procura avevano portato alla luce che la Nerolegnami aveva continuato a lavorare anche nel 2011 e che aveva distratto i crediti aziendali, i beni strumentali e le rimanenze di magazzino, con prelievi dai conti correnti e la vendita degli autoveicoli da lavoro, tra l’altro, alla nuova azienda costituita di fatto dallo stesso titolare, operante sempre nel settore della selvicoltura.

La documentazione di tutto ciò sarebbe stata poi trovata nel corso di una perquisizione nello studio di Agliana della commercialista. Che, secondo gli inquirenti, avrebbe agito questo modo per un tornaconto personale. Aveva infatti convinto il titolare della Nerolegnami che avrebbe potuto evitare la condanna per bancarotta fraudolenta e incorrere invece nella più lieve pena prevista per la bancarotta semplice qualora avesse aderito a un accordo transattivo per far confluire nell’attivo fallimentare 65.000 euro (arrivati tra l’altro dalle casse della nuova società). In tal modo, in qualità di curatore, la commercialista avrebbe percepito il proporzionale compenso di 12.289 euro. Mentre, in mancanza di un qualunque attivo nelle casse della società fallita, ne avrebbe intascati soltanto 811.

Secondo la procura, la professionista, grazie a questi suoi rapporti con l’imprenditore agricolo, sarebbe stata poi scelta da lui come commercialista per la sua nuova azienda. —

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