In Friuli negozi chiusi e gente in piazza per la nascita del Regno d’Italia
Il 17 marzo 1861 festeggiarono anche i nostri patrioti, ma la reazione austriaca non si fece attendere
Il 17 marzo 1861 il primo parlamento dell’Italia unita riunito a Torino, proclamò la fondazione del Regno d’Italia, conferendo la corona a Vittorio Emanuele II. Il Re d’Italia, Cavour e il governo ritenevano ancora prematura una nuova guerra contro l’Austria per il Veneto, il Trentino, il Friuli, la Venezia Giulia, nonostante le forti pressioni patriottiche.
Quello stesso 17 marzo 1861, a Udine, per rendere solenne anche per i friulani l’apertura dell’attività parlamentare italiana, si tennero chiusi i negozi, i cittadini organizzarono festose passeggiate in centro dove si incrociava un andirivieni di carrozze e di passanti che si salutavano gioiosamente; si respirava un’insolita spensierata atmosfera. Furono pacate ma significative dimostrazioni di giubilo, che però il governo austriaco non gradì, tanto più che dopo alcune indagini procedette all’arresto di alcuni dissidenti che definì “pericolosi”.
I patrioti friulani avevano attraversato un periodo di delusioni cocenti. Infatti dopo l’esaltante dichiarazione di guerra fatta dal Piemonte e dalla Francia all’Austria nel 1859 che aveva riaccese le speranze dei patrioti friulani che numerosi vi avevano partecipato, nelle fila sabaude, lo sconforto dato dall’armistizio di Villafranca e dalla pace di Zurigo, dopo le numerose vittorie franco – piemontesi, fu cocente.
Al mantenimento del dominio austriaco sul Veneto e sul Friuli gli intellettuali friulani risposero con la partecipazione alla spedizione dei Mille e con il plebiscito clandestino del 1860 promosso dai Comitati Provinciali che affermò la volontà dei friulani di unirsi al regno Sabaudo. Un Comitato d’Azione del quale facevano parte Gabriele Luigi Pecile, Francesco Caratti, Giuseppe Giacomelli, Carlo Kecler e Lanfranco Morgante e parecchi rappresentanti dell’Associazione Agraria Friulana, in stretto contatto con gli esuli friulani a Torino, e loro tramite col governo piemontese, raccolsero le adesioni al regno d’Italia dei rappresentanti dei Comuni friulani e le fecero consegnare dal conte Francesco Rota, personalmente, al presidente del Consiglio Camillo Benso conte di Cavour. Intanto alcuni tra i più accesi patrioti friulani stavano prendendo parte direttamente alla spedizione dei Mille che partì da Quarto la notte tra il 5 e il 6 maggio 1860. All’Impresa parteciparono 22 friulani a questi si deve aggiungere Ippolito Nievo, nato a Padova nel 1830, ma friulano di elezione. Una quarantina di altri volontari friulani raggiunsero Garibaldi in Sicilia e nell’Italia meridionale con successive spedizioni.
Molti altri patrioti lavorarono in Friuli per la Società Nazionale e per il Partito D’Azione, per continuare a organizzare il dissenso nei confronti dell’Austria e preparare azioni dimostrative. Alle elezioni per i rappresentanti del parlamento, disposte dal governo austriaco con Imperiale Regio decreto del 10 ottobre 1860 e regolate con lo statuto del 26 febbraio 1861 ed ordinate il 24 marzo dal luogotenente dell’Imperatore conte Taggemburg, degli 844 comuni interessati, 413 e tra questi le città regie e i capoluoghi di distretto, non si curarono nemmeno di riunire i rappresentanti delle amministrazioni per procedere ad esse. Dei sette comuni del distretto di Codroipo, ad esempio, votò uno solo, il comune di Bertiolo, procedendo ad un’elezione che fu definita farsesca. Il governo austriaco sospettò che causa del completo insuccesso elettorale, fosse stato il lavoro del Comitato Segreto dei patrioti friulani, e in occasione proprio della protesta del 18 marzo fece indagini serrate, ordinò numerose perquisizioni scoprì materiali reputati compromettenti e fece incarcerare alcuni patrioti che godevano del prestigio della popolazione cittadina. I gendarmi austriaci condussero Carlo Kechler e Lanfranco Morgante nelle segrete del castello di Udine. Successivamente, condannati per direttissima, furono deportati in Moravia a Olmutz e poi a Brunn, condannati al carcere duro, insieme a Girolamo Caiselli, Giacinto Franceschini, Antonio Marignani, Antonio Tonello di Udine, a Salvatore Tedeschi di Pordenone e a D. G. Sartori di Sacile. L’oppressione austriaca, che comportava anche arretratezza economica, sarebbe durata ancora cinque anni. —